Fisco: proposta “Robin Hood al rovescio”, toglie ai poveri per dare ai ricchi
di Anna Paschero|
“Meno tasse e più semplicità”: sono i termini con i quali il Presidente della Commissione Finanze della Camera, on.le Luigi Marattin ha autocelebrato, non senza enfasi, la chiusura dei lavori delle commissioni finanze del Parlamento, propedeutici alla riforma fiscale che avrebbe dovuto andare in consiglio dei ministri il 31 luglio. Non della stessa lunghezza d’onda il commento del ministro Daniele Franco nel corso dell’audizione del 22 luglio di fronte alle stesse commissioni: “per un calo strutturale delle tasse serve una revisione della spesa; per l’alleggerimento del prelievo non possiamo mettere a rischio la tenuta dei conti; in particolare in questa fase il tema delle risorse andrà gestito nell’ambito delle prossime sessioni di bilancio”. Le prospettive economiche sono “ancora soggette a un elevato grado di incertezza” per l’evoluzione della pandemia e per gli impegni di spesa da affrontare per le trasformazioni strutturali della sanità: si può intervenire per rendere il sistema “efficiente ed equo ma non si può di per sé perseguire la riduzione strutturale del carico fiscale”.
In sintesi: le proposte elaborate dalle commissioni, frutto di un compromesso tra le diverse richieste delle parti politiche e non di un impegno congiunto per il bene comune, contraddicono gli intenti pomposamente enunciati nella prima parte del documento e rappresentano un insieme scomposto di provvedimenti disparati, che non trovano realistica copertura nelle risorse disponibili già accantonate per finanziare la riforma. A questo punto occorre prendere atto, con rammarico, della irresponsabilità dimostrata dai rappresentanti del Parlamento nel tracciare le “linee guida” per affrontare una delle più importanti riforme del Paese, senza preoccuparsi delle conseguenze alla sostenibilità dei conti pubblici che ne sarebbero derivate. Forse è il prezzo che gli italiani devono pagare alla politica-spettacolo che vive di fiammate, sensazionalismi, conflitti, pulsioni o qualunque altra emotività che faccia parlare di sé sulle reti televisive, sui giornali e sul web? Quindi la riforma sarà rinviata a settembre, dopo la sessione di bilancio con la quale dovranno essere reperite le risorse necessarie per attuarla, con la riduzione strutturale di parte della spesa del bilancio dello Stato o con un nuovo aumento di debito pubblico.
Nel mio articolo “Un sistema fiscale “progressivo”, ma solo per i meno abbienti” e nell’analisi proposta di Rocco Artifoni “Interrogativi sulla riforma del fisco proposta dal Parlamento “, entrambi pubblicati su questo sito, sono già stati evidenziate molte delle contraddizioni, tra cui quella della copertura finanziaria, presenti nel documento parlamentare. Nel merito, le Associazioni ARDeP e Centro Nuovo Modello di Sviluppo, alle quali Artifoni e chi scrive si riferiscono, hanno tradotto il contenuto degli articoli sopra citati in un commento inviato il 27 luglio scorso sia ai parlamentari delle Commissioni che il 30 giugno hanno approvato il documento conclusivo dei lavori, sia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Economia e Finanze. Si tratta di un intervento in cui si evidenzia sia la distanza dallo spirito costituzionale, sia la contraddizione con le stesse analisi delle commissioni espresso dal documento sopracitato.
Nel sottolineare l’importanza strategica della riforma che il Parlamento si appresta ad adottare, nel commento viene manifestata sorpresa nel constatare un’assenza clamorosa tra gli obiettivi dichiarati: quella dell’equità, che rappresenta il fondamento di ogni sistema fiscale. L’obiettivo redistributivo, ovvero quello capace di ridurre le disuguaglianze, oggi affidato principalmente alla progressività dell‘IRPEF, sembra essere stato spostato dal fisco alle politiche assistenziali, con una evidente e notevole differenza di visione. L’erosione della base imponibile dell’IRPEF, dovuta ai regimi di tassazioni sostitutivi e forfettari, lesivi del principio di uguaglianza tra i contribuenti, è stata affrontata, ma non risolta dalle commissioni in quanto ”implicherebbe l’incremento anche sostanziale della tassazione su diverse categorie reddituali”. Ovvero penalizzerebbe i contribuenti che percepiscono redditi finanziari e patrimoniali, attualmente tassati in misura inferiore a quelli derivanti da lavoro e pensione!
Per contro, sono indicate in modo chiaro le due proposte di modifica che riguardano l‘IRPEF: la riduzione dell’aliquota media effettiva con riferimento alla fascia di reddito 28/55 mila €uro e la modifica della dinamica delle aliquote marginali effettive eliminando le discontinuità più marcate. Ad essere privilegiati dalla riforma risulterebbero quindi 7 milioni di contribuenti benestanti, (il reddito medio italiano è di circa 26.000 €uro) a discapito dei 30 milioni di contribuenti dei primi due scaglioni di reddito che non superano i 28 mila €uro, e a maggior beneficio dei contribuenti inseriti negli scaglioni più elevati (da 55 mila €uro a 300 mila e oltre) che godrebbero totalmente dello sconto praticato al terzo scaglione. Per quanto riguarda la riduzione della discontinuità delle aliquote marginali la Commissione ha concordemente deciso che “occorre un intervento semplificatore sul combinato disposto di scaglioni, aliquote e detrazioni per tipologia di reddito”. Anziché prendere saggiamente in considerazione il modello di tassazione tedesco, che ha eliminato con un semplice algoritmo tali effetti, propone un ulteriore sistema di detrazioni da aggiungere alla giungla di quelle esistenti.
Sul reddito d’impresa poi la Commissione anziché proporre, in un’ottica di progressività, una correzione del sistema proporzionale attualmente applicato alle sole società di capitale (24%) propone lo stesso sistema di tassazione proporzionale anche per le società individuali, così come già concessa per ricavi inferiori ai 65 mila euro (cosiddetta Flat Tax).
Capitolo a parte quello della tassazione dei redditi finanziari attualmente assoggettati ad una aliquota sostitutiva proporzionale del 26%. In proposito, le Commissioni hanno proposto di diminuire l’aliquota al 23% “per allinearla alla prima aliquota IRPEF applicata sui redditi di lavoro”. Non viene spiegata, né risulta comprensibile, la scelta di parificare i redditi finanziari a quelli dei contribuenti meno abbienti, ovvero percettori di un reddito che non supera i 15 mila €uro annui. Non è chiara la correlazione tra riduzione del prelievo fiscale favore delle classi più benestanti e la “crescita”, considerata l’obiettivo primario della riforma, se non quella che potrebbe derivare dalla ulteriore “crescita” dei depositi bancari di questa classe di contribuenti a seguito degli sgravi fiscali.
In ultimo il costo della riforma, che avrebbe dovuto essere pari a zero. Come affermato dallo stesso ministro Franco le linee guida emanate dalle Commissioni parlamentari richiedono, per esser adottate, un investimento finanziario che l’Italia oggi non può permettersi di fare. In altre parole, si propone una “alleanza di classe”, ceto medio e alta borghesia, che se realizzata pagherebbero i soliti noti… Del resto, la proposta è una riforma Robin Hood al rovescio, che toglie ai “poveri” per dare ai “ricchi”, che persegue la stessa logica che ha informato le plurime manipolazioni del sistema avvenute nel corso degli ultimi 50 anni, seguite alla grande riforma fiscale del 1971, mai resa operativa.
Ma una riforma strutturale e organica, a invarianza di gettito, resta davvero un traguardo impossibile? Nei fatti risulta possibile – come dimostrato nel dossier “Fisco e Uguaglianza” pubblicato sul sito ARDeP con una simulazione svolta su dati ufficiali pubblicati dal Ministero – ma richiede un coraggio e una determinazione probabilmente assenti nell’attuale compagine politica. La proposta prevede, in sintesi:
1) che tutte le diverse tipologie di reddito, nessuna esclusa compresi i redditi prodotti nel mondo, siano assoggettate all’imposta in modo cumulativo, (sistema seguito dalla Germania);
che l’imposta sia calcolata su un numero più elevato di scaglioni di reddito, sul modello della L. 825/1971, e che dal reddito lordo da tassare sia escluso un minimo vitale – uguale per tutti i contribuenti – da riconoscere se tali spese vengono effettuate con strumenti di pagamento elettronici. L’alternativa all’aumento del numero degli scaglioni di reddito è rappresentata dall’applicazione del modello di tassazione tedesco. Il confronto tra il calcolo di entrambi i sistemi non ha evidenziato differenze significative di quantificazione e di gettito d’imposta.
2) l’eliminazione di ogni detrazione d’imposta (attualmente superano il 31% dell’ IPEF per circa 67 miliardi di Euro), da ripristinare solo in parte stanziando nella parte spesa del bilancio dello Stato tali risorse da attribuire come incentivi allo sviluppo e non come riduzione del gettito fiscale;
3) Introdurre l’obbligo per tutti i cittadini maggiorennì, di presentare una dichiarazione annuale dei redditi, anche se negativa, con l’obiettivo di determinare per questi ultimi una sorta di “sostegno” da parte dello Stato finalizzato a soddisfare almeno i loro bisogni essenziali di vita e quelli della propria famiglia.
Istituzione quindi di una “imposta negativa” sul reddito, sostitutiva di ogni intervento di tipo assistenziale e di supporto al reddito attualmente vigente. L’aumento del numero degli scaglioni di imposta deve prevederne l’articolazione fino ai redditi di oltre 3 milioni di Euro (valore rivalutato al 2018 e convertito in Euro di Lire 500.000.000,00 – L. 825/1974) con la finalità di assicurare per le classi di reddito più elevate una progressività del sistema fiscale, attualmente inesistente.
Questa ipotesi, per l’impossibilità di reperire i dati riferiti alle frequenze di tali redditi, (non sono pubblicati in nessuno dei siti ufficiali del Ministero), non è stata rappresentata nel lavoro pubblicato sul sito dell’Associazione ARDeP, ma procurerebbe sicuramente un maggior gettito dell’IRPEF. Le misure sinteticamente richiamate e meglio illustrate nel Dossier, sono a costo zero, ovvero non richiedono, per essere adottate, nessun intervento di riduzione di spese o di aumento del debito pubblico a carico delle generazioni future. Ma se ne riparlerà a settembre.
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