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Filosofia attorno agli acchiappavoti di professione

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |

L’arte della politica viene sempre più delegata ai tecnici e alle task force, mentre ai politici tradizionali rimane il compito di scegliere un’efficace agenzia pubblicitaria. Magra consolazione è data dal fatto che non è sufficiente poter disporre dell’agenzia più cara, altrimenti il candidato democratico sarebbe stato sicuramente il miliardario Michael Bloomberg. Ciò conferma che se il politico tradizionale non fa più politica, gli rimane almeno il ruolo di acchiappavoti, meglio di qualsiasi agenzia. La capacità di guadagnare consensi e di far convergere intere popolazioni verso obiettivi comuni rappresenta sicuramente un pilastro della democrazia. Già Aristotele nel IV sec. a.C. aveva intuito come l’uomo, in quanto «animale politico», era naturalmente portato ad unirsi ai propri simili per formare delle aggregazioni (all’epoca consentite!). Ma questo è solo il primo passo del “politicare”, anche se per qualcuno può diventare una professione. Storicamente si può osservare come, nel 1948, si disponeva di meno risorse, ma si condivideva una volontà di crescita. Oggi le risorse a disposizione sono decisamente superiori, ma si fatica a raggiungere una comunione di intenti. Gli scontri elettorali (caratterizzati dal “contro” l’avversario), le rivalità nell’accaparrarsi un’agevolazione, le dispute su quale gruppo/zona dimostra di avere un maggior diritto a richiedere/mantenere un determinato privilegio o la divisione manichea pro o contro un aspetto marginale sono la riconferma che il problema è ideologico. Ogni individuo è naturalmente portato a disporre di qualsivoglia servizio sotto casa (tranne quelli inquinanti, dove vale l’inverso) e a disporre del miglior prodotto. Spesso alcuni slogan riflettono questo naturale istinto, evitando scientemente la formalizzazione dei problemi che ne possono derivare. La crisi economico-finanziaria e la rivoluzione non voluta provocata dal Coronavirus fanno emergere l’insostenibilità nel mantenere un sistema senza un supporto etico che dia una visione delle priorità da perseguire. Lo scoppio degli episodi di violenza in molte realtà occidentali ne sono la conseguenza. Anche Honk Kong, seppur con caratteristiche profondamente diverse, non sfugge a questa regola: il venire meno di un progresso economico continuo, in assenza di altri paradigmi, mette in discussione l’ordine sociale. Il consenso “mordi e fuggi” e la vision generale

L’analisi economica ha rilevato come “bisogno, domanda, offerta” si muovano in forme al limite della contraddittorietà dove, a fronte di una correttezza momentanea e formale al sistema giuridico, non fa seguito un comportamento idoneo. L’obbligo dello Stato di assicurare i diritti universalmente riconosciuti, viene messo in discussione sia nella capacità di far condividere le regole, sia come ruolo di garante. L’evoluzione del sistema ha indotto lo Stato ad una ricerca immediata del consenso​ assumendo azioni propositive ed attive concretizzatesi nel predisporre servizi non sempre apprezzati dai cittadini che, anzi, tendono sempre più a contestare o a non adeguarsi. Diventa così obbligatorio sottostare a un’infinità di prescrizioni, generando fatti dove si pretendono interventi pubblici, ma poi si assumono comportamenti non coerenti (scarsa aderenza ai principi di cui le norme dovrebbero essere gli strumenti attuativi o comportamenti non connessi con il proprio status), ponendo così in discussione l’efficacia che deve assumere l’intervento dello Stato e la finanza pubblica. L’invocazione di misure di prevenzione contro il Coronavirus, si sono scontrate con assembramenti spontanei che, per numero dei partecipanti, non potevano essere repressi. L’intervento pubblico si deve muovere sempre più per evitare esasperazioni violente, più che per perseguire finalità comuni. Il non poter agire con determinazione provoca però reazioni, nel lungo periodo, di sfiducia generalizzata. Alla ricerca dell’eticità (perduta)

Alcuni paesi occidentali stanno modificando l’impegno dello Stato per renderlo maggiormente etico, oltre che sostenibile in tempi di crisi, introducendo il cosiddetto moral hazar, che espresso in termini maccheronici, si sintetizza con la possibilità che i fruitori di un servizio gratuito (offerto cioè a prezzo zero oppure ad un irrisorio prezzo politico) pensino che questo non sottintenda alcun costo reale, inducendo un consumo indiscriminato del servizio (anche oltre la soglia di un’utilità marginale pari a zero). Il complesso delle attività pubbliche deve invece assumere una funzione regolatrice, non solo al suo interno, ma anche nell’individuare, con strumenti legislativi e regole di comportamento, un sistema organizzato di servizi correttamente utilizzati. Cioè un sistema dove il singolo intervento trova la sua attuazione e il suo completamento in un sistema più generale, che realizza un paradigma comportamentale e non solo l’acchiappare una manciata di voti. L’intervento pubblico è così chiamato a rappresentare sullo scenario collettivo, nazionale e internazionale, l’immagine sociale derivata dal sistema Paese, che riflette il graduale processo di evoluzione di una cultura, quale capacità di rispondere al concetto di libertà dei singoli individui nell’assumere comportamenti maturi e filantropici. Un concetto cui le agenzie di pubblicità difficilmente possono dare piena attuazione.

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