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Esperienze da Coronavirus: la scoperta dell’intelligenza del “Grande Nulla”

Aggiornamento: 21 apr 2023

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

L’intelligenza artificiale ci aveva illusi che fosse sufficiente predisporre macchine intelligenti che sapessero velocemente immagazzinare tutte le informazioni disponibili per poi ritirare uno scontrino che ci dicesse che cosa si deve fare, trasformandoci in ultimo in esseri scarsamente senzienti cioè di esseri poco dotati di capacità di sensazione. Tutto, infatti, viene deciso con algoritmi complicatissimi e su big date che sfuggono all’intelligenza del singolo e delle collettività di cui fanno parte. Effetti di una società deideologizzata

I centri elaborazione dati diventano così i santuari di un sapere pagano venerato da tutti, soppiantando il vecchio concetto di intelligenza basato sulla capacità di attribuire un significato sensato e logico all’ordine delle cose fino al punto di concettualizzare le esperienze acquisite in un’interpretazione esaustiva della società nel suo complesso. La conoscenza che ne derivava, formalizzata in ideologie, permetteva d’individuare i meccanismi decisionali in grado di offrire riferimenti per affrontare le singole contingenze. Oggi siamo chiamati ad uscire un istante dalla mischia per cercare di capire il razionale che guida i comportamenti della società, cioè di quell’insieme di individui che che cerca di lasciarsi alle spalle il Coronavirus, con il dichiarato proposito di evitare gli ultimi residui di rissosità che portano a criticare la controparte senza alcun costrutto. Il coronavirus ha così evidenziato, da un lato, come siamo ancora molto distanti da un’intelligenza artificiale affidabile, dal lato opposto, la tradizionale intelligenza non sembra più in grado di elaborare supporti ideologici in grado di fornire riferimenti generalizzati sull’esplicazione dei fondamenti di una società. Massima informazione, minima elaborazione

Il mondo virtuale obbliga a rivedere i tradizionali criteri di acquisizione della conoscenza: i cinque sensi, vista, udito, olfatto, tatto, gusto, sembrano arcaiche forme se confrontate alla massa di informazioni acquisibili sul web. Questo “nuovo senso” permette però solo di percepire i fenomeni non di conoscerli, ma ciò non impedisce di modificare significativamente il nostro comportamento (generando un’inconsistente ed effimera filosofia comportamentale), o peggio, farci apparire reale ciò che non lo è, e viceversa di impedirci di riconoscere il vero. Il potere dei mass media e l’affermarsi di nuove forme di conoscenza basate sull’intelligenza artificiale inducono a mettere in discussione i meccanismi con cui un individuo, e più in generale tutta una società, riesce a raggiungere nuove forme di conoscenza grazie alla gran massa di informazioni disponibili. Le potenzialità che ne conseguono devono portare alla possibilità di rielaborare in modo autonomo l’enorme massa di informazioni acquisite/acquisibili nella nostra società. È su questo fronte che si verificherà la possibilità di realizzare nuovi paradigmi sociali in grado di sintetizzare le aspettative delle singole popolazioni e delle ipermasse che si vengono a creare sui social, senza giungere ad un rifiuto generalizzato di ogni integrazione con il resto del mondo. Un modello di conoscenza entrato in crisi

Riproporre un “discorso sulla conoscenza” (gnoseologia per i pensatori classici, epistemologia e teoria della conoscenza per gli studiosi post illuministici), significa tornare ad indagare sulle fonti, sulle modalità e sui limiti del nostro modo di apprendere, allorché viene messa in discussione la capacità della conoscenza di giungere non solo alla verità, ma all’affidabilità delle modalità di apprendere. Altrimenti passiamo dal pensiero debole al pensiero inutile. La necessità del discorso è dato da un’infinità di situazioni dove il pensiero dominante non viene più accettato da larghe fasce della popolazione. Gli esempi più evidenti sono offerti dalla difficoltà delle tradizionali forze politiche di convogliare consensi sui tradizionali modelli di sviluppo o sull’apparente inspiegabilità del ricorso ai maghi per i problemi di salute, nonché sugli infiniti contenziosi legali su problemi pressoché irrilevanti, ma dove i singoli ritengono che quello sia un loro irrinunciabile diritto. Ad entrare il crisi è il modo di apprendere e di elaborare le informazioni disponibili, perché non si riesce più ad offrire garanzie sulla veridicità delle informazioni, quale base per lo sviluppo di nuove conoscenze. I rischi di una deriva alle prese con i social

Si tratta di tematiche cui, se non si trovano risposte generalizzate, inducono ad un riflusso nell’egoismo individuale e nell’opportunismo di alcune lobby, sia economiche, sia sociali, che da un lato portano a credere che, staccando i rapporti con il resto del mondo, si possa salvaguardare la propria identità, dall’altro, chi crede che la globalizzazione possa permettere libertà di azioni insperate ed incontrollate. Mentre le lobby economiche rispondono a interessi, non sempre etici, ma intellegibili, le lobby sociali rispondono più a sensazioni emotive che possono indurre anche a pericolose derive. Da qui l’importanza di definire quali sono le modalità per acquisire le informazioni necessarie per governare i fenomeni che determinano le condizioni di vita, stabilendo selezioni e livelli decisionali, al fine di non essere soffocati da una miriade di condizionamenti, spesso contraddittori. Restituire centralità al ragionamento

La possibile soluzione è quella di ridurre l’importanza dell’episodico, per lasciare spazio al “logos”. Il ragionamento può aiutare a fungere da filtro per riuscire a determinare cosa è utile conoscere e come utilizzare le informazioni disponibili. Occorre cioè riacquisire dei meccanismi di analisi che permettano d’individuare i limiti e la validità della conoscenza, intesa essenzialmente come relazione tra il soggetto (conoscente) e l’oggetto (della conoscenza). Si tratta cioè di uscire da una serie infinita di dibattiti incentrati sull’effimero (cioè sul grande nulla) che sicuramente, con i suoi risvolti morbosi e fatui, affascinano e attraggono come la maga Circe (e speriamo di non naufragare sull’isola di Ogigia perché, per quanto piacevole possa essere la compagnia della ninfa Calipso, induce ad un sonno della ragione). Il problema è che si può fare indigestione anche del nulla e che questa indigestione possa addirittura rilevarsi salutare per eliminare tossine accumulate nel tempo. Il sapere di… un immenso vuoto

Il coronavirus sarà identificato come la III° guerra mondiale, non certo per numero di morti (almeno si spera che la mortalità generale non si allontani troppo da quella registrata negli anni precedenti, così come registrato fin ora dall’ISTAT), ma come in tutte le guerre ciò che viene dopo sarà profondamente diverso da ciò che c’era prima. La paura che ci ha contagiato, chi più chi meno, ha saturato molte menti facendole cadere nell’isteria più irrazionale, ma proprio aver superato molti limiti ed aver lasciato spazio a delinquenze locali (liberati i pluriassisini) e ridato spazio alle arroganze internazionali (i MIG tornano a volare sui cieli vicino a noi e la storia insegna che possono nascere incidenti nei cieli di Ustica) l’intelligenza generata dal tutti contro tutti può creare soluzioni nuove e alternative. L’intelligenza del “Grande Nulla” riassume il concetto di un immenso vuoto creato, non dall’inesistenza di elementi, ma di una sovrapposizione di elementi da non più riuscire a capire la realtà, neanche con i più evoluti sistemi informatici, contrapposto alla capacità della ragione di riappropriarsi del suo significato originario quale facoltà di muoversi da premesse iniziali per giungere a delle conclusioni, che a loro volta costituiscono premesse per ulteriori ragionamenti.

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