Dieci anni fa l’ultimo saluto a Giovanni Saldarini, l’arcivescovo che visse la svolta di
di Luca Rolandi |
La Chiesa torinese ha ricordato il suo arcivescovo nel duomo di San Giovanni dove è sepolto e dove si svolsero i funerali il 20 aprile del 2011. Lo ha ricordato con una solenne celebrazione terminata da poche ore, presieduta dal suo attuale successore mons. Cesare Nosiglia. Dal 1989 al 1999 era un’altra Torino quella che l’Arcivescovo e cardinale Giovanni Saldarini guidò. Una città che aveva ancora il suo faro nella Fiat e nella famiglia Agnelli, ma in declino e alla ricerca di una collocazione internazionale. Torino operaia che si stava sfaldando per diventare altro, la Torino internazionale e olimpica. Ma un decennio come quello degli anni Novanta è stato fondamentale per la Chiesa torinese per varcare il millennio e lasciare la sua dimensione post-conciliare inaugurata dall’arcivescovo Michele Pellegrino, il cardinale professore della “Camminare insieme” e il vescovo carmelitano scalzo e dalla profonda spiritualità Anastasio Ballestrero.
Era la Chiesa di Giovanni Paolo II dentro cui vi era quella torinese dei preti operai, di mons. Operti e don Fornero, di mons. Peradotto, don Luigi Ciotti, il progetto del Sermig di Ernesto Olivero, la fine delle ideologie e dei partiti di massa. In questa temperie politico e culturale mons. Saldarini, che arrivava da Milano ed era stato collaboratore del Cardinale Martini, provò a dare una impronta, molto spirituale, pastorale, legata alla dimensione dell’evangelizzazione così come impresso nel convegno dei cattolici italiani di Palermo del 1995, dopo le lacerazioni di Loreto di dieci anni prima.
La grande immigrazione albanese e dal Nord Africa, le avvisaglie di un sovranismo razzista, con una Lega dalle spinte xenofobe, le battaglie di San Salvario, ma anche la primavera della Giunta Castellani con la fine dell’età politica di Diego Novelli e del Pci al centro del quadro politico. Saldarini fu fedele alla Parola e in ascolto della città, deferente, ma anche fermo nel mondo in cui dovette prendere posizione. Accolse Papa Wojtyla per l’Ostensione della Sindone del 1998, ma dovette negli ultimi anni guidare, nonostante la malattia, una Diocesi che iniziava a mutare pelle, cambiare generazione con i grandi padri del Novecento verso la fine della loro esistenza e un clero e una comunità di laici e religiosi completamente diversa da quella del periodo dei Consiglio Pastorali animati e dibattuti dell’epoca “pellegriniana”.
Come ricorda Federica Bello su “La Voce e il Tempo”, Giovanni Saldarini era nato a Cantù l’11dicembre 1924. Ordinato sacerdote a Milano il 31 maggio 1947, conseguì la licenza in Sacra Teologia nella Facoltà teologica di Venegono e quella in Sacra Scrittura presso il Pontifcio Istituto Biblico di Roma. Il 10 novembre 1984 ricevette la consacrazione episcopale dall’Arcivescovo card. Carlo Maria Martini. «Adiutor gaudii vestri», fu il suo motto episcopale. Il 31 gennaio 1989 fu trasferito alla Chiesa Metropolitana di Torino come Arcivescovo e ne prese possesso personalmente il 19 marzo.
Impossibile sintetizzare in poche righe il suo servizio episcopale torinese: ne ricordiamo alcune «tappe» la celebrazione di un Sinodo diocesano, la visita pastorale e la visita ai sacerdoti fidei donum in Kenya, Guatemala, Brasile, Argentina e Polinesia; promosse la costituzione del Servizio Migranti, la celebrazione della Giornata Caritas, l’avvio del servizio diocesano per l’iniziazione cristiana degli adulti. Fece sorgere l’Ordo Virginum; nel quadro di una più intensa pastorale giovanile, rinnovò l’attenzione agli incontri di lectio divina e promosse gli oratori parrocchiali. Una sintesi dell’azione e del pensiero che però andrebbe oggi a distanza di dieci anni dalla morte e da oltre venti dalla fine del suo episcopato, a lui subentro il cardinale Severino Poletto, sarebbe importante iniziare ad approfondire e studiare in modo critico e storico, con grande rispetto ma con rigore.
(Si ringrazia la Direzione de La Voce e il Tempo per la concessione della fotografia)
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