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Covid: soggetti fragili e patologie dimenticate

di Fausto Fantò e Enrica Formentin|


La pandemia da Covid-19 ha impattato di più sulle persone fragili affette da malattie croniche. Tra i tanti rischi corsi, e che si corrono soprattutto in questa fase, è la diminuzione dell’attenzione verso problemi che non assurgono alle cronache, ma che possono inficiare la sostenibilità dei nostri sistemi sociali che, sia pur con tante carenze, hanno offerto una vita dignitosa a milioni di persone anche durante la pandemia.

L’impegno di tutto il sistema sanitario nel contrasto al Covid-19 ha inevitabilmente ridotto l’attenzione verso chi è affetto da cronicità o ha un rischio maggiore di svilupparne. I livelli di gravità e la diffusione globale dell’infezione da SARS-CoV-2 furono talmente preoccupanti ed elevati, che nel marzo dello stesso anno l’OMS dichiara il Covid-19 pandemia. Le cronicità: un problema complesso

Così narrato il Covid-19 sembra avere colto tutti di sorpresa. In realtà la pandemia era prevedibile e prevenibile poiché dopo l’influenza Aviaria (virus H5N1) e la SARS-COV 1, le probabilità di un nuovo evento erano piuttosto elevate e gli scienziati, che circa vent’anni prima si erano occupati del problema, avevano lanciato più volte l’allarme. Nel sottovalutare i rischi e non disponendo di un aggiornato Piano nazionale di preparazione e risposta, le azioni per contrastare il Covid-19 sono risultate confuse. Tali errori affondano le loro radici su un modello organizzativo di SSN volto a eliminare la malattia e meno alla prevenzione e promozione della salute; inoltre hanno trovato terreno fertile, quando nei primi mesi del 2020 si è pensato di arginare la pandemia solo all’interno degli ospedali, concentrandosi esclusivamente sui casi gravi. Proprio sul territorio, la pandemia ha aperto il “vaso di Pandora” mostrando come, aldilà delle intenzioni di considerare il legame ospedale-territorio la condizione necessaria per ottimizzare il coordinamento tra i diversi setting sanitari, poco è stato fatto concretamente per organizzare processi trasversali di presa in carico della cronicità. La gestione delle fragilità durante la pandemia

Quello delle Malattie croniche è un’emergenza nell’emergenza: la predisposizione di posti di terapia intensiva è risultata essere la strategia elettiva per garantire appropriata assistenza anche se ciò ha comportato una riduzione delle disponibilità complessive. In alcune fasi però la carenza di posti letto è diventata tale da dover ipotizzare l’individuazione di strutture alternative agli ospedali anche se non sempre in modo razionale (tant’è che alcune sono state poco utilizzate). In Italia, il Coronavirus si è innestato su una popolazione con età media elevata e ad alta prevalenza di patologie croniche e, quindi, con un maggior rischio di mortalità. Si è assommata la difficoltà di diagnosticare correttamente la Covid-19 nelle patologie respiratorie, con gli effetti indiretti sulle cardiopatie, tumori e diabete, accelerando processi morbosi già in atto poiché la maggior parte dei pazienti non ha avuto accesso a visite e accertamenti diagnostici con regolarità e tempestività. Il calo dei ricoveri in oncologia e cardiochirurgia

Le Associazioni di pazienti e di cittadini e le Società Scientifiche si sono subito mobilitate: CittadinanzAttiva per tutto il periodo del lockdown e nelle fasi successive ha avviato numerose iniziative politiche di mobilitazione, accompagnate da un’intensa attività di comunicazione, affinché il problema non venisse sottovalutato. Lockdown, distanziamento sociale e uso di dispositivi di protezione individuale sono entrate nel quotidiano delle persone, modificandone comportamenti e abitudini. Ma, spesso, gli stessi pazienti spinti “impropriamente” al rispetto delle norme per paura del contagio o, conoscendo le difficoltà organizzative delle strutture sanitarie, non solo hanno esitato a ricorrere a prestazioni non essenziali (dalle visite e ai controlli per scarsa consapevolezza), ma hanno faticato a riconoscere i sintomi e le complicanze della propria patologia, rinunciando ad una tempestiva diagnosi e al trattamento (non rivolgendosi al Pronto Soccorso, anche quando sarebbe stato necessario). Per comprendere la portata del mancato accesso alle prestazioni, si deve considerare che i ricoveri di chirurgia oncologica si sono ridotti del 13%, mentre in ambito cardiovascolare il calo è di circa il 20% degli impianti di defibrillatori, pacemaker ed interventi cardiochirurgici maggiori. I dati sulla mortalità

Nell’analizzare le informazioni riportate dai medici in 4.942 schede di morte, di soggetti diagnosticati microbiologicamente con test positivo al SARS-CoV-2 (il 15,6% del totale dei decessi notificati al Sistema di Sorveglianza Integrata ISS fino al 25 maggio). Nelle schede di morte sono certificate, oltre a COVID-19, quelle condizioni e malattie che hanno avuto un ruolo nel determinare il decesso. COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono le malattie cardiovascolari (4,6%), i tumori (2,4%), le malattie del sistema respiratorio (1%), il diabete (0,6%), le demenze e le malattie dell’apparato digerente (rispettivamente 0,6% e 0,5%). La quota di deceduti di cui il virus è la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 60-69 anni e il minimo (82%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni. Durante la pandemia sia i cardiopatici elettivi, sia gli acuti hanno visto modificare il proprio percorso di cura. I pazienti con patologie cardiovascolari sono particolarmente a rischio: se contagiati dal Covid19 possono sviluppare forme gravi di infezione, seguite spesso da complicanze cardiologiche es. embolia polmonare, ictus, scompenso cardiaco. Sul fronte dei ricoveri per le patologie tempo-dipendenti GIMBE26, relativamente agli andamenti regionali, evidenzia come tutte Regioni abbiano registrato una variazione percentuale in negativo del volume dei ricoveri per infarto miocardico acuto rispetto ai periodi precedenti. A ciò si aggiunge lo stress, l’ansia, la sofferenza, il disagio psicologico dovuto all’interruzione repentina dei rapporti sociali, dei legami familiari, del contatto fisico così importanti non solo per la prevenzione del declino cognitivo e del benessere fisico, ma anche per la percezione di sé, ovvero di essere ancora una persona di valore e di senso per gli altri. Alcolismo, obesità, tabagismo

Nelle RSA, nessun contatto fisico, nessun rapporto con l’esterno, se non quello frettoloso e preoccupato degli operatori oberati dal lavoro, spesso difficili da riconoscere con il viso coperto. Non poter lasciare la propria stanza o la propria abitazione; dover comunicare con una mascherina, magari avendo problemi di udito e/o disturbi del linguaggio, ha creato una situazione complicata per gli anziani. I risvolti psicologici sono stati pesanti e hanno amplificato la percezione della propria condizione di confinamento e isolamento. La separazione e il percepirsi soli innesca un circolo vizioso verso l’obesità, l’alcolismo, il tabagismo e, soprattutto, può far scivolare le persone anziane e spesso con patologie croniche verso disturbi comportamentali e stati di depressione gravi. Le nuove tecnologie a volte hanno aiutato, a volte hanno reso la situazione ancora più frustrante e, in ogni caso, non tutti ne hanno potuto usufruire. Non stiamo certo parlando di “nativi digitali”: forse mai come in questo momento è opportuno lavorare con gli anziani per garantire una maggiore conoscenza degli strumenti di comunicazione digitali che, pur non sostituendo i rapporti sociali e il calore umano, rappresentano un valido aiuto contro l’isolamento sociale. “La salute è il primo dovere della vita” (Oscar Wilde).

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