Covid-19: green pass d’élite o green pass di massa?
di Giuseppina Viberti e Germana Zollesi |
Perché piace così tanto discutere ed accapigliarsi sul green pass? Sicuramente ad accendere gli animi non sono le competenze scientifiche, noiosissime e in mano a pochi cultori della materia. Forse non è estraneo il fatto che la pandemia ha sconvolto il nostro modo di vivere e quindi ci obbliga a prendere una posizione, come di fronte ad una guerra ci si divide tra interventisti e pacifisti. Di certo la partigianeria per le posizioni estreme accende gli animi e catalizza l’attenzione più dei ragionamenti. Però la conoscenza della realtà sfugge a questi comportamenti ieratici.
Solo nel tifo calcistico si trova tanto fervore per una o l’altra parte e, come nel calcio, a sostenere le diverse casacche sono sia gli intellettuali che i popolari, quasi equamente divisi tra destra e sinistra. Una logica rigidamente razionale porterebbe a lasciare le scelte alla capacità di acquisire ed elaborare informazioni, così come succede in altri Paesi. Il 27 agosto il ministro della Sanità danese, Magnus Heunicke, aveva annunciato che essendo “l’epidemia sotto controllo”, si sarebbero potute togliere tutte le restrizioni, cosa che è avvenuta il 10 settembre (la Svezia le abolirà entro il 29 settembre), aggiungendo però: “Non ne siamo ancora fuori” e se necessario verranno riapplicate (la Danimarca era stato il primo Paese in Europa a imporre il certificato sanitario digitale per l’ingresso in bar, ristoranti, musei, impianti sportivi, teatri). Il valore del senso civico
La differenza con i Paesi nordici è che la compagna di vaccinazione ha già superato l’80% della popolazione e si può far affidamento su un maggior senso civico della popolazione (le misure di prevenzione non servono solo per contrastare il coronavirus ma anche combattere le normali influenze). Il principio è molto semplice: si allentano o si restringono le prescrizioni in base alle esigenze, non in base alle appartenenze politiche (per decenni in Italia il lemma “politica” è stato considerato alla stregua di una parolaccia e ora ci si divide su posizioni di parte trascurando le evidenze scientifiche). Le vaccinazioni e il green pass (che tutti, tranne i parlamentari, sono chiamati a rispettare) non sono in “assoluto” il bene o il male (non sono esenti da rischi, ma non stermineranno la popolazione in un futuro più o meno immediato), ma tutto è relativo alle condizioni epidemiologiche reali, che vanno studiate, analizzate e gestite. Uno sguardo alle conoscenze attuali
Le evidenze scientifiche ricavabili dalle analisi finora effettuate rilevano che la protezione dalle manifestazioni cliniche gravi del coronavirus resta elevata anche a distanza di più di 6-9 mesi e la quantità di anticorpi neutralizzanti non è l’unico indice per stabilire il livello di capacità di protezione del nostro sistema immunitario. L’ipotesi accertata è che si può disporre anche di pochi anticorpi neutralizzanti rilevabili in laboratorio, ma l’immunità mediata rimane elevata. Si tratta di un tipo di risposta immunitaria legata ai linfociti T che non è possibile rilevare con esami sierologici, ma che entra in funzione se il soggetto viene in contatto con l’agente infettante; in altre parole, è come un esercito sempre pronto a combattere qualora ve ne fosse bisogno. Ciò che cala parecchio dopo 6 mesi è la protezione da infezione o da malattia lieve, di cui si deve tener conto, ma sic stantibus rebus, è importante diminuire i decessi (risultato effettivamente raggiunto). Come dimostrano unanimemente tutte le statistiche, i vaccinati sono meno colpiti e se lo sono presentano forme più tollerabili. Segno che il vaccino non sarà la panacea di tutti i mali ma sicuramente contribuisce a ridurne gli effetti nefasti. Termometro della situazione
Proviamo a chiedere nella nostra cerchia di amici se sarebbero disposti ad assumere un acido? Se beneducati rimangono zitti. Poi ricordiamo che l’aspirina è “acido acetilsalicilico” che tutti abbiamo consumato più o meno consci di possibili controindicazioni (puntualmente segnalate sul cosiddetto bugiardino) e che a produrlo è una nota multinazionale che di certo non ci ha rimesso.
Il problema non dovrebbe essere come chiamare l’ASA, il farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) appartenente alla famiglia dei salicilati dotato di attività antinfiammatoria, analgesica e antipiretica, che se utilizzato a piccole dosi esercita un’azione antiaggregante piastrinica, ma come questo viene utilizzato, o sovrautilizzato, in rapporto alle condizioni cliniche del paziente. Sappiamo che non è così e che la realtà presenta continuamente casi di sovradosaggio e di sottodosaggio, ma, in questo caso, le fazioni dei pro e contro non si sono ancora organizzate!
A noi Italiani, discendenti da Cicerone, maestro nell’arte dell’eloquenza, piace il gusto della polemica, per cui ogni argomento va bene, dal calcio alla chimica, ma nel nostro DNA dovrebbero esserci ancor tracce del gusto per la satira ed invece si ha quasi l’impressione (e sfogliando i social se ne ha la controprova) che si può far satira su tutto, ma non sul green pass, che alcuni vecchi piemontesi con il dono dell’autoironia pronunciano “crin pass…”.
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