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Chi vuole liberalizzare le concessioni balneari? I Gattopardi sono già insieme ai Draghi…

di Anna Paschero|

Se ne è parlato con toni soft, quasi sottovoce, probabilmente per non estendere il “disagio”, per la nota riluttanza a liberalizzare le concessioni balneari, al governo Draghi. Che però comincia a mostrare meno coraggio di quanto tenda a manifestare nelle sue enunciazioni programmatiche. La prova è arrivata proprio con il DDL sulla concorrenza approvato il 4 novembre dal Consiglio dei Ministri, ritenuto importantissimo in chiave PNRR. Infatti, il DDL non contiene la liberalizzazione delle concessioni balneari, ma solo una loro ricognizione. Il che, a mo’ di controprova, ha suscitato l’immediata reazione della portavoce della Commissione Europea per il Mercato Interno (Sonya Gospodinova) che ha invitato le autorità italiane, dopo quindici anni di contenzioso con l’Unione Europea (tre lustri e nove governi per capirci, nel paese dei gattopardi), a conformare la loro legislazione al diritto europeo e alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Una decisione, quella del Governo, che ricorda la posizione assunta con la legge delega sulla riforma fiscale in merito al catasto: ovvero nessuna soluzione, ma un’operazione di trasparenza in vista di una futura riforma. Di qui la delega al Governo per l’adozione, entro sei mesi, di un decreto legislativo per l’adozione di un sistema informativo di rilevazione dello stato dell’arte delle concessioni pubbliche in atto. Nel frattempo è intervenuta il 9 novembre la sentenza del Consiglio di Stato che ha limitato la proroga delle concessioni solo fino al 31 dicembre 2023, aprendo dal giorno successivo il settore alle regole della concorrenza. Giova ricordare che la Legge di Bilancio 2019 aveva esteso la durata delle concessioni ad uso turistico e ricreativo in scadenza nel 2020 fino al 31 dicembre 2033, provocando una seconda procedura di infrazione della Corte di Giustizia Europea (dopo quella del 2016). Continua dunque il braccio di ferro tra Italia e Ue su una materia, delicatissima, non priva di contrasti, dovute ad opposte pronunce dei Tribunali Amministrativi nazionali sulla immediata applicabilità delle direttive europee, di tensioni politiche e della forte opposizione di gruppi d’interesse. Il 26 ottobre 2017 l’Assemblea della Camera aveva approvato il disegno di legge A.C. 4302-A contenente una delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico – ricreativo, nel rispetto della normativa dell’Unione Europea. Il provvedimento, passato al Senato, non è stato approvato entro la fine della legislatura. La scarsa redditività del patrimonio pubblico e l’inefficacia della sua gestione, nonostante i numerosi interventi legislativi avvenuti negli anni, a partire dalla riforma federalista – mai completata – continuano ad essere un problema per il nostro Paese, a maggior ragione se si tiene conto della situazione economico finanziaria e dell’ammontare del debito pubblico. Per ovviare alle evidenti carenze informative dovute soprattutto alla frammentazione del patrimonio sull’intero territorio nazionale e anche alla mancanza di consapevolezza, da parte delle pubbliche amministrazioni dei beni posseduti e di come sono utilizzati, nel 2010 è stato avviato il progetto “Patrimonio della PA” (Legge Finanziaria 2010) con l’introduzione dell’obbligo, per tutte le amministrazioni pubbliche, di inviare annualmente al Dipartimento del Tesoro i dati sui beni immobili pubblici. Con successivo decreto ministeriale tale obbligo è stato esteso alle partecipazioni e alle concessioni. Sono coinvolte più di 10.000 Amministrazioni con l’obiettivo di creare una banca dati centralizzata che fornisca un quadro conoscitivo completo, analitico, sistematico ed aggiornato della consistenza del patrimonio pubblico per supportarne le politiche di gestione e valorizzazione. A distanza di un decennio dall’avvio del progetto la situazione è contenuta nel rapporto annuale del MEF – Dipartimento del Tesoro – sui beni immobiliari delle amministrazioni Pubbliche, aggiornato ai dati 2018 e finito di elaborare a settembre 2021 . Alcuni dati fanno riflettere: il tasso di adempimento si attesta all’83% in quanto non hanno ancora assolto l’obbligo un migliaio di Amministrazioni. Le analisi evidenziano che le amministrazioni locali detengono la maggior parte del patrimonio immobiliare censito (806 mila fabbricati e 1 milione e 400 mila terreni.) Il 93% dei fabbricati e il 73% dei terreni risultano utilizzati direttamente dalle amministrazioni per attività istituzionali; la parte restante viene data in uso a privati. Il valore complessivo dei fabbricati censiti nell’anno 2018 è di 297 miliardi di Euro. È curioso notare come abbiano diversamente risposto all’obbligo di comunicazione le diverse tipologie di Enti pubblici: i comuni con più di 50 mila abitanti hanno risposto al 100%; i comuni con meno di 5 mila abitanti hanno superato l’83% ; le amministrazioni centrali dello Stato si attestano all’86%. La rilevazione si avvale degli archivi del catasto i cui dati vengono aggiornati anche in relazione alla presenza di non corrispondenza delle informazioni dei beni. E dunque, vista la massa di dati da verificare catastalmente (oltre 2,5 milioni di unità immobiliari tra terreni e fabbricati) l’affidabilità di quest’ultimo strumento sarebbe quanto mai necessaria. A fronte di questi dati si apprende, sempre da fonti ministeriali che la spesa nel 2018 per locazioni passive delle amministrazioni dello Stato è stata di circa 800 milioni di Euro e che i piani di razionalizzazione degli spazi adottati hanno prodotto risparmi per meno di 12 milioni. Si apprende poi ancora, in materia di concessioni di demanio marittimo che tutte le attività di seguito elencate: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere; d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive; e) esercizi commerciali; f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione, hanno beneficiato di continue proroghe automatiche dal 2009, di sospensione del pagamento dei canoni per danni a seguito di eventi avversi, non ultimo quello del COVID, di definizioni agevolate di contenziosi pendenti relativi anche alla definizione dei canoni. Tutto questo grazie alla politica e a tecnicismi giuridici che non soltanto hanno contribuito a cementare un sistema burocratico, causa dei molti mali della pubblica amministrazione italiana, ma anche inficiato le aspettative di un ordinamento integrato delle fonti nazionali e comunitarie, rette da un principio di prevalenza delle seconde sulle prime. A fronte di una copiosa attività legislativa prodotta nel tempo, riferita al Patrimonio Immobiliare Pubblico, (la lista delle norme rilevanti è stata pubblicata nel 2017 dal Dipartimento del Tesoro – Direzione VIII e contiene 22 pagine!) lo stato dell’arte richiede ora un ennesimo intervento di “trasparenza” per poter intervenire sulla materia, in specie quella delle concessioni. I tempi per attuarla sono importanti, viste le esperienze in corso da un decennio, ma più importante ancora è sottrarre l’esposizione dello Stato alle procedure di infrazione europee in questo particolare momento di grandi aspettative di ripresa e di sviluppo dell’Italia.

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