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Buffalo, l’ultima strage di un’America democratica in grave crisi

di Germana Tappero Merlo |


Ha appena 18 anni, Payton Gendron, autore dell’ennesima strage negli Stati Uniti. Armato di un fucile semiautomatico Ar-15 ha ucciso attorno alle 14,30 (ora locale) 10 persone e ne ha ferite altre all’interno di un supermercato di Buffalo, nello Stato di New York. Il giovane, che indossava un’uniforme militare, aveva con sé una body cam che gli ha permesso di trasmettere in diretta su Twitch, non prima di aver postato un manifestato in cui si dichiarava suprematista bianco e antisemita. Altre fonti locali riferiscono che già lo scorso anno erano partite segnalazioni dal suo liceo indirizzate alla polizia di un ragazzo con problemi esistenziali che non faceva mistero di voler fare una strage. Il commento di Germana Tappero Merlo, autrice del libro di recente pubblicazione “Dalla paura all’odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo. La cultura della violenza jihadista e dell’ultra destra eversiva da al-Quada e QAnon e oltre”.

Payton Gendron, diciottenne, bianco americano, ha eseguito una ‘perfetta strage’ come da copione: tuta mimetica, armi automatiche, luogo affollato, vittime a caso purché neri, diretta streaming del crimine sulla piattaforma gaming Twitch, con una precedente anticipazione circa il suo gesto da suprematista bianco, come si è definito in una sorta di manifesto di 106 pagine, pubblicato sul proprio profilo nei social network. Il risultato di quest’ennesimo ‘crimine d’odio e un atto di estremismo violento di matrice razziale’, come è stato etichettato dagli inquirenti, è di 10 morti e altrettanti, al momento, feriti.

La strage che si è consumata a Buffalo, nel pomeriggio di sabato, quando in Italia era notte. Il ragazzo si è poi consegnato alla polizia, in apparenza dopo un tentativo di suicidio. Apparente, appunto, perché sopravvivere al proprio crimine è ormai per questi mass-shooter la parte celebrativa di un copione ben preciso. Rappresenta infatti il suo finale glorificante, quello proprio del vero martire di questa frangia estrema che, a differenza del jihadista che muore uccidendo per divenire così martire e, quindi, testimone della sua guerra santa, costui consegna la sua vita ad una lunga detenzione carceraria, elevandosi così, in tal modo, a promotore-martire, perché vivo ma sacrificato, della sua causa. Un odio razziale oceanico

È questo il sunto di quello che caratterizza da tempo le stragi, quei mass shooting dettati da odio, quasi sempre razziale, che falciano le vite di molti americani ogni anno. La strage di Buffalo si colloca come ennesimo incidente di un numero crescente di sparatorie di massa negli Stati Uniti che, secondo il Gun Violence Archive, si attesta sui 200 per anno, e dove un mass shooting o sparatoria di massa è un incidente in cui vengono uccise quattro o più persone, escluso l’assassino. David Neiwert, giornalista e massimo esperto dell’estremismo violento, affermava già alcuni anni fa che queste sparatorie provocano 33mila morti l’anno fra i cittadini statunitensi e che “nessuno ha mai proposto una qualche confisca di armi di massa né alcuna legge in grado di mettere in pericolo il Secondo emendamento”1. Un dibattito che si accende rabbiosamente all’indomani di questi atti, per poi spegnersi velocemente, perché “gli Stati Uniti si sono formati e consolidati attraverso l’uso delle armi: tuttora, in effetti, il loro possesso rappresenta una ‘garanzia sociale’ di equilibrio, un ‘diritto inalienabile’ del cittadino e un discreto giro di affari”2. Si sprecano infatti gli studi, i commenti e i giudizi su un’America troppo armata, con il continuo richiamo a questo emendamento che, seppur permetta il possesso e l’uso delle armi, non ne vieta il regolamento da parte delle autorità centrali: ma questo è un argomento che non piace alle frange più estreme dei sostenitori delle armi libere che vi vedono, appunto, un tentativo di imporre limitazioni restrittive alle libertà individuali fondanti quella nazione.3 Il diritto ad armarsi nella cultura Usa

Non è un caso che il picco di violenza di questo tipo, registrato negli Stati Uniti dall’estate 2020, si sia dimostrato come un fenomeno globale, in città e Stati con leggi sulle armi sia permissive che rigide, con pubblici ministeri di entrambi gli schieramenti politici, progressisti e conservatori, nonché sindaci e governatori repubblicani e democratici. L’America ferita dalle azioni violente è quindi l’America che sconta il suo attaccamento ai miti e ai valori dei Padri fondatori, ma che ora, più che in passato, si sente minacciata nella sua identità, quella originaria, di migranti puritani, bianchi ed europei. Non è un caso che stiano aumentando stragi a sfondo razziale: il ragazzo di Buffalo si è infatti dichiarato suprematista bianco, là dove, in una nazione multirazziale, multietnica e multilinguistica, come lo sono da decenni gli Stati Uniti, l’uomo bianco, autoctono, si sente emarginato, messo in secondo se non addirittura in fondo alla scala delle priorità economiche e sociali, da parte di una politica, quella di una ‘società aperta’, che privilegia minoranze, dai latinos, agli asiatici sino ai neri, appunto, anche se cittadini americani. Non è raro, quindi, che queste stragi vengano anche definite, da alcuni loro criminali autori, come ‘guerre sante razziali’. Ma la razza è il pretesto e solo una delle cause che portano ad una crescente radicalizzazione dell’odio sociale, diffuso proprio per via della tolleranza, dell’integrazione di queste minoranze ‘altre’ rispetto ai bianchi, percepite come il Nemico da combattere perché, a loro avviso, cavalcano quel senso di colpa dovuto allo schiavismo di quasi due secoli di storia americana, che si è poi trasformato nelle leggi segregazioniste del secolo scorso, e che ora appare sotto vesti nuove, e di certo come un fardello mai superato. Ecco, è appunto nella radicalizzazione dell’odio sociale che vanno cercate le ragioni di tanta efferatezza. Nelle dichiarazioni-manifesto pubblicate prima di queste stragi dominano termini come ‘resistenza bianca’, ‘estinzione dell’uomo bianco’, ‘genocidio dell’uomo bianco’, con buona dose di letture cospirazioniste in cui l’americano bianco, middle e labour class è vittima sacrificale di una politica discriminatoria, questa sì razziale propria di un establishment liberale e progressista che ha fatto dell’inclusione, del politically correct e della cancel culture gli strumenti di oppressione della vera identità bianca americana. E la loro risposta, non a caso, è White Lives Matters quella che, poco più di un anno fa, si è scontrata, per la prima volta, con manifestanti ‘nemici’ dei Black Lives Matters, a dimostrazione che la questione razziale, negli Usa, non è affatto risolta. Al contrario, ha trovato linfa vitale anche altrove. I tanti volti di un Paese in sofferenza

A differenza anche solo del decennio scorso, infatti, queste convinzioni non appartengono più esclusivamente ad organizzazioni suprematiste razziste come il più noto Ku Klux Klan (a tratti moribondo, a volte sepolto, ma spesso vivo e vegeto), o al più recente e diffuso Christian Identity, ossia alla variegata galassia di un estremismo violento, dai richiami sovente neonazisti, con l’onnipresente antisemitismo, il tutto condito da una buona dose di fondamentalismo cristiano. La convinzione di un razza bianca ridotta a minoranza, destinata all’estinzione (“i bianchi rischiano di essere condannati, se non fanno più figli; almeno 2,06 per ogni donna”, recita il manifesto-testamento del giovane assassino di Buffalo), e poi perché discriminata economicamente e legalmente a favore invece dei neri e quindi nemmeno trattata così favorevolmente come accade invece per altre minoranze razziali ed etniche: sono tutti argomenti ricorrenti anche di una buona fetta che rappresenta, da alcuni anni, la nuova politica statunitense, quella trasversale ai due principali partiti. Ed è un fenomeno che sta crescendo, al pari dei disagi da crisi economica da pandemia che ha colpito in particolare quella fascia di popolazione, bianca e americana. Si era sempre mossa in sordina per poi manifestarsi apertamente, appunto, trovando, a tratti, e non sempre coerentemente, il sostegno anche di esponenti ai massimi livelli, come con la presidenza Trump, ad esempio. È invece ora un’America che soffre e che ha deciso di manifestare il proprio disagio: se contenuta, si limita a manifestare come dimostrano i sempre più numerosi e nutriti cortei di bianchi, esponenti di una classe media moribonda se non operaia degli Stati Uniti più profondi, quella “che un tempo riempiva le chiese, coltivava le terre e faceva funzionare le industrie. Quel mondo che non c’è più, al suo posto solo ruggine e rabbia”, come ben recita Elegia americana di J.D. Vance.4 Ma appunto questa rabbia non sempre viene frenata, come dimostrato dall’assalto al Campidoglio, il 6 gennaio 2021. In fondo, erano costoro a urlare, assaltare, scassare e invadere quelle stanze del ‘potere corrotto’. Un evento certamente unico, ma non più così raro. Se esasperato, se unito a frustrazioni personali con buona dose di radicalizzazione dell’odio sociale, ecco materializzarsi milizie armate, legalmente, di difensori identitari, di cui abbonda la provincia americana, sino agli estremi, quelle stragi assurde come quest’ultima, l’altra notte a Buffalo. _______

1 D. Neiwert, Alt-America. The Rise of the Radical Right in the Age of Trump, 2017 2 F. Franzin, L’altra America. L’anima profonda degli Stati Uniti, dall’identità sudista al fenomeno Trump, 2022. 3 G. Tappero Merlo, Dalla paura all’odio. Terrorismo, estremismo e cospirazionismo, 2022 4 J.D. Vance, Elegia americana, 2017

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