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Battiamo la guerra con la storia e la geografia, non con la propaganda

di Menandro|

La pandemia da coronavirus e la guerra ucraina non potranno essere considerati “episodi”, né ordinari incidenti di percorso da relegare al libro dei ricordi personali del XXI secolo. All’opposto, dovranno essere riportati sui libri di storia per le prossime generazioni, che prima o poi dovranno essere informati che nel XX secolo c’è stata una Seconda guerra mondiale dopo la Prima… Insieme ad altre tante piccole (per usare un eufemismo) guerre locali che nessuno studia, dalla guerra di Corea (in cui si scontrarono Cina e Stati Uniti con il materiale che l’Unione Sovietica di Stalin inviava ai coreani comunisti del Nord) al sanguinoso conflitto in Vietnam, questo preceduto dall’altrettanto violenta decolonizzazione che investì ciò che rimaneva dell’imperialismo francese, seguita negli anni Sessanta dell’esodo dei brutali belgi, ancora francesi e portoghesi dall’Africa. E ancora. La guerra tra Stati arabi e Stato d’Israele, quella del Golfo, dei Balcani, senza considerare quelle che restano nella tastiera del computer, altro che pace nel mondo. Del resto, se così non fosse, come potrebbero le aziende di armi (insieme a quelle farmaceutiche) avere bilanci che superano di gran lunga quelli di tanti paesi africani e dell’Asia? Guerre ad ogni angolo del pianeta che si susseguono imperterrite. Anche per questa drammatica ragione, il mondo andrebbe riguardato sugli atlanti, come ha suggerito lo scrittore Marco Lodoli. Un suggerimento da cogliere al volo e da estendere per riprendere il sano piacere di un tempo che ci aiutava a scoprire le analogie storiche, così da superare razionalmente lo stupore che producono in noi avvenimenti considerati inverosimili, ma che sono spiegabili prendendo in esame la carta fisica e quella politica dell’atlante. La carta fisica rende più agevole la comprensione della morfologia del territorio e di riflesso le abitudini e attitudini delle popolazioni che vi abitano; la carta politica aiuta a memorizzare la posizione delle nazioni ed è una leva per porci la domanda storica sulla formazione degli Stati, come sono stati determinati o tracciati (molti a tavolino, quasi sempre dopo guerre) i confini, soffermarsi sulle vicinanze che raccontano la presenza di più etnie in un medesimo stato, dunque ricchezza e contraddizioni culturali e intellettuali. Potremmo scoprire che la Russia è il paese al mondo che confina con il maggior numero di Stati, 18, il che non giustifica l’aggressione di Putin all’Ucraina, ma magari getta una luce su come la sindrome dell’accerchiamento possa fare presa sul popolo russo. Guardare la carta geografica e riprendere confidenza con gli atlanti storici servirebbe a non farci sedurre (o manipolare) dall’idea di risolvere per via militare, e non per via negoziale come il buon senso impone, la guerra in Ucraina. Il risentimento atavico contro la Russia di piccoli o meno piccoli stati, alcuni dei quali fino si proclamavano fino a ieri neutrali, può trasformarsi in una tragico inganno e non ha diritto di cittadinanza, né ha le carte in regola per diventare la bussola che ci aiuta a uscire dall’incubo. Un incubo che si materializza al settimo giorno di guerra con l’intensificarsi degli scontri, l’aumento di perdite di vite umane e di masse di profughi che premono alle frontiere. E, ultimo, ma non meno importante, la follia si materializza anche con l’inizio di una grottesca caccia alle streghe, rompendo un digiuno del ridicolo che non è mai abbastanza lungo, ai danni degli artisti russi che non si schierano contro l’autocrate Putin. Un’aggressione alla cultura prolungato dal provvedimento (giustificato per evitare polemiche, sic!) dell’Università Bicocca di mettere al bando anche un corso sull’incolpevole Fëdor Dostoevskij, cui forse non si perdona di aver scritto uno straordinario romanzo come L’idiota che nel lemma (non certo nel messaggio dello scrittore russo) oggi è declinabile al plurale.

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