Basterà credere nella fusione nucleare fredda?
di Sergio Cipri
Il 25 gennaio scorso, gli Stati Uniti, subito seguiti dai loro satelliti europei, hanno sbloccato la fornitura di carri armati di ultima generazione all’Ucraina. Un passo deciso verso la Terza guerra mondiale, in attesa della successiva che, prevedono gli strateghi militari, si combatterà con archi e frecce. Dopodiché il lettore associato il titolo all'incipit dell'articolo comincia - giustamente - a domandarsi che cosa c'entri la fusione nucleare con la guerra e perché mai la prima dovrebbe salvare l'umanità. In effetti, temo di iniziare a perdere lucidità e confondere due guerre, entrambe con esiti potenzialmente letali. La prima è quella che si combatte contro il disastro climatico che, nel nostro pigro immaginario riguarderà, se mai, le generazioni future, ma che è stata spinta ai margini da quella Russia-Ucraina, o meglio, se le vogliamo dare il giusto nome, la guerra Russia-Occidente, molto più vicina nel tempo e nello spazio.
L'effetto dei raggi infrarossi
Per non dimenticare qualcosa che nessun armistizio potrà esorcizzare riprendo il tema della nostra sopravvivenza affidata alla capacità di ridurre il livello di Co2 nell’atmosfera. L’anidride carbonica (Co2) è anche chiamata gas serra per la sua capacità di intrappolare il calore della superficie terrestre impedendo, almeno in parte, che si disperda nello spazio. Il Sole ci invia la sua energia attraverso onde elettromagnetiche nello spettro visibile che infatti noi percepiamo come luce. La luce visibile attraversa con relativa facilità lo strato di Co2 che avvolge il pianeta e va a riscaldare la superficie terrestre. Questa riemette parte del calore ricevuto sotto forma di raggi infrarossi (che non vediamo, ma percepiamo), lo stesso tipo di energia della luce visibile ma di frequenza più bassa. E qui sta il guaio: i raggi infrarossi vengono in gran parte intrappolati dallo strato di Co2, esattamente come succede con il vetro o la plastica delle serre.
L’equilibrio che ha permesso al pianeta di autoregolarsi è stato distrutto dall’uomo attraverso due azioni sinergiche: primo, un utilizzo crescente di energia per alimentare le nostre attività sempre più affidate alle macchine che, come detto in un articolo precedente, non fanno altro che aumentare l’entropia della Terra; secondo, l’uso sempre più esteso dei combustibili fossili che alimentano lo strato di Co2 che ci soffoca. La soluzione è (sarebbe) semplice, ma praticamente inattuabile: smettere di produrre Co2.
Generici impegni di contrasto all'inquinamento
Perché inattuabile? La Comunità Europea, ad esempio, si è data il 2050 per raggiungere il livello zero di emissioni di Co2! [1] Si tratta di pura utopia, se non di pura e semplice mistificazione. I dati relativi alla tappa intermedia del 2030 sono spietati. Per quanto riguarda poi il resto del mondo basta leggere le conclusioni del COP27 (Sharm el Sheik, 6-20 novembre 2022) [2] l’incontro mondiale dei 197 paesi che hanno sottoscritto impegni per la lotta ai cambiamenti climatici. Generici impegni, non quantificati, a ridurre l’impiego dei combustibili fossili, un fondo di 100 miliardi di dollari a favore dei paesi più poveri per compensare i danni climatici innescati da quelli ricchi, non ancora stanziati, e i carbon credits di cui abbiamo ampiamente trattato nel precedente articolo. [3]
Il risultato deludente è stato in parte determinato dall’atteggiamento dei Paesi produttori di petrolio…, ma non mi dite! In pratica: non chiedeteci impegni precisi a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Se proprio non possiamo evitarlo siamo disposti a mettere mano al portafoglio per qualche intervento caritatevole verso i più sfortunati. L’equivalente delle indulgenze a pagamento che nel XVI secolo il Papato s'inventò nei secoli bui per finanziarsi, scatenando però l'ira di Martin Lutero e la nascita del protestantesimo.
Accettato il fatto che l’energia utilizzata dalla specie umana continuerà ad aumentare, di difficile attuazione l’utopia di catturare la Co2 e intrappolarla nel sottosuolo (la tecnologia esiste, ma a costi proibitivi), consapevoli che il nucleare di fissione è pericoloso e produce scorie radioattive difficilmente neutralizzabili, sapendo che il gas non produce Co2, ma aumenta l’entropia del pianeta, mentre continuiamo a bruciare petrolio, non resta che sognare la fonte di energia pulita, illimitata, eterna.
Mezzo secolo di sogni e di sfide
Il sogno di riprodurre sulla Terra il miracolo che tiene acceso il Sole da miliardi di anni non è recente. Sono almeno 50 anni che ricerche teoriche e sperimentazioni pratiche tentano di avvicinarci ad un risultato utilizzabile. Non parliamo di sedicenti scienziati che, in preda al pensiero magico, dichiararono di aver scoperto come aggirare leggi fondamentali della fisica realizzando la fusione fredda, il processo che nel Sole avviene a 100 milioni di gradi, sul fornello della cucina di casa [4]. E’ impressionante come la cosa abbia sedotto anche scienziati seri, oltre a personaggi scientificamente qualificati che sono arrivati ad annunciare generatori domestici di energia a fusione nucleare, con tanto di prezzo di acquisto e costi di gestione.
In questo momento sono in competizione due progetti: 1) ITER-Tokamak, [5] una collaborazione mondiale di 35 Paesi che sta costruendo in Francia una struttura basata sul confinamento magnetico del plasma. Con investimenti colossali dovrebbe, salvo ritardi dovuti al Covid-19, iniziare la sperimentazione nel 2025 e diventare operativa – come laboratorio ovviamente - nel 2045; 2) ICF (Inertial Confinement Fusion) [6] sviluppato alla National Ignition Facility negli Stati Uniti, che usa laser di potenza per portare il plasma alla temperatura di fusione. E’ proprio questo progetto che ha battuto la concorrenza annunciando trionfalmente, il 13 dicembre 2022, di avere per la prima volta nella storia ottenuto dalla fusione più energia di quella utilizzata per innescarla. Quanta più energia? Sufficiente, disse scherzosamente un portavoce – per scaldare una tazza di tè. Nonostante l’importanza straordinaria del risultato, per passare da quello che possiamo paragonare all’accensione di un fiammifero rispetto ad una centrale elettrica, il cammino è ancora lungo.
Il progetto ITER, che è maggiormente strutturato in vista di un passaggio alla produzione industriale, prevede più di 20 anni per la prima prova pratica. Quando gli americani, con il progetto ICF, parlano di almeno 30 anni dopo il loro primo successo per uno sfruttamento industriale della fusione, azzardano previsioni del tutto prive di basi scientifiche. Nessuno sa dire, per esempio, come reggeranno le strutture necessarie ad un funzionamento H24 sottoposte ad una doccia di neutroni ad alta energia per un tempo che nessuno ha mai sperimentato.
Conclusione
Anche quando, in un futuro che possiamo situare ottimisticamente fra 30 e 50 anni, la fusione nucleare fosse una realtà industriale, la sua diffusione nel pianeta richiederebbe tempi e risorse economiche ingenti, sicuramente non alla portata di tutti. La fusione nucleare conviverebbe con tutte le forme di energia attuali, con tutti i limiti e i pericoli che conosciamo. La riduzione del fabbisogno di energia rimane – nell’opinione di chi scrive - il solo percorso praticabile.
Ma perché, con il caldo feroce delle prossime estati dovrei evitare di usare il condizionatore quando il mio vicino – lo sento – lo tiene acceso a palla? E perché io, fra i primi sette Paesi più industrializzati, dovrei ridurre la mia produzione quando i miei concorrenti non aspettano altro? E perché io, grande nazione che sta raggiungendo il benessere dei primi, dovrei sottostare alle limitazioni proposte da quelli che hanno ridotto il Pianeta a questo stremo? Salendo dai comportamenti individuali a quelli di interi Paesi non è difficile rendersi conto che la riduzione spontanea del nostro fabbisogno energetico non sia sentita come un imperativo categorico. Soltanto una illuminata dittatura planetaria potrebbe imporre un comportamento collettivo simile. Ma questa dittatura non esiste, e se esistesse la combatteremmo legittimamente e ferocemente. Una regola non scritta prevede che la chiusa di un articolo onestamente realistico sul futuro del nostro pianeta lasci uno spiraglio di ottimismo. L’ultimo paragrafo è in bianco, e spero davvero che qualcuno lo voglia e lo sappia scrivere.
Note
[6] https://en.wikipedia.org/wiki/Inertial_confinement_fusion
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