Autonomia differenziata: evoluzione delle esigenze socio-sanitarie
di Domenico Martelli*

L'autonomia differenziata sta suscitando un acceso dibattito - relegato ai margini negli ultimi giorni dal tragico naufragio sulle coste calabresi di Cutro, che ha provocato l'ennesima ecatombe di migranti disperati - che inevitabilmente si sofferma sugli effetti che potrebbe avere sull'assistenza sanitaria in Italia, assistenza regolamentata dalla riforma 833 del 24 dicembre 1978. La Porta di Vetro che ha ospitato numerosi articoli sul tema [1] ospita oggi, 2 marzo, l'intervento del dott. Domenico Martelli, direttore della Struttura complessa di Medicina per intensità di cura 1 dell'Asl Città di Torino.
Premessa
Gli italiani sono sempre di meno e sempre più anziani. Nel 2021 il tasso di natalità è stato del 6,8 per mille e del 12 per mille quello della mortalità, con il risultato che la popolazione ha subito un ulteriore calo, perdendo in sette anni oltre un milione di residenti. Per mantenere la stabilità della popolazione ed evitare il declino demografico, la natalità dovrebbe raddoppiare con un tasso di fertilità di una donna che fosse almeno di 2,2 figli. In concreto, gli italiani con più di 65 anni sono 14 milioni, pari al 24 per cento del totale, mentre i bambini da 0 a 14 anni sono solamente 7,5 milioni. Non meno sconcertante è il rapporto tra lavoratori e pensionati: 10 a 6. Circa 24 milioni di italiani, ovvero il 40 per cento del totale, sono affetti da patologie croniche e quasi 4 milioni, pari al 6,6 per cento, risulta non autosufficiente. In questi ultimi tre anni la pandemia da Covid ha reso drammaticamente evidente a tutti una debolezza storica del SSN: la prevenzione e i servizi sanitari e socio-assistenziali territoriali. Questa debolezza storica spiega perché all’aumento dell’attesa di vita corrisponda la crescita della popolazione anziana “malata”, cronica e non autosufficiente. E, con essa, crescono in modo esponenziale le esigenze sanitarie e socio-assistenziali e le relative spese per soddisfarle. Inoltre, le difficoltà economiche, il disagio sociale, le disuguaglianze e le povertà acuiscono le richieste di servizi ed evidenziano inesorabilmente l’impossibilità del servizio pubblico di soddisfarle in tempi accettabili.

L'arretramento del Servizio sanitario nazionale
La politica sanitaria degli ultimi decenni, indipendentemente dal tipo di governo in carica, ha generato un depotenziamento del sistema pubblico. I nodi cruciali sono stati l’ingente taglio dei posti letto, il prolungato blocco del turnover degli operatori sanitari, la mancanza di una politica dei servizi territoriali adeguata, l’assenza di un piano credibile ed efficace per la continuità assistenziale e per la gestione della cronicità, l’incapacità di risolvere il problema delle lunghissime liste d’attesa aggravato dalla pandemia. I governi succedutisi negli ultimi decenni hanno la responsabilità di:
- aver destinato alla sanità pubblica risorse inadeguate spendendo una quota del PIL ben inferiore a quella dei Paesi europei più avanzati;
- aver mantenuto il numero chiuso alle facoltà di Medicina: i medici over 55 in Italia sono il 56%, contro il 34% degli altri Paesi. Aver disposto un insufficiente numero di borse di studio per la specialistica. Aver gestito in maniera inadeguata il personale medico dell’emergenza che ha portato a sguarnire i PS. Aver mantenuto la riduzione dell’ingresso a Scienze Infermieristiche con la conseguente carenza cronica di personale. Avere permesso la riduzione continua del personale amministrativo.
- aver mantenuto una politica retributiva che mortifica e umilia gli operatori sanitari;
- aver riformato a statuto federativo le Regioni, creando 20 sistemi sanitari differenti con conseguente incremento delle esistenti diseguaglianze tra regioni ricche e regioni povere: a suddetta Riforma si vorrebbe ora aggiungere l’autonomia “differenziata” delle Regioni, che andrebbe ad intaccare la coesione e l’unità stessa del Paese.
Conseguenze del depotenziamento del SSN
La conseguenza più rilevante è stato l’impetuoso incremento avutosi della sanità privata, la quale ha causato:
- l’aumento della quota che i cittadini spendono di tasca propria per le cure e la salute (il 24% della spesa complessiva, pari ad oltre 40 miliardi di euro);
- il dilagare di cooperative private, cui viene affidata direttamente l’assistenza sanitaria senza nemmeno un adeguato controllo con compensi per il personale medico pari fino al triplo di quello previsto per i medici del SSN. Segnaliamo che Benjamin Goodair sulla rivista scientifica Lancet (vol.7, issue 7, July 2022, pag. E638-E646), in un lavoro di revisione sugli effetti delle politiche di outsourcing in Gran Bretagna, sottolinea come l’esternalizzazione al settore privato corrisponde a «un aumento significativo dei tassi di mortalità curabile, potenzialmente come risultato di un calo della qualità dei servizi sanitari».
Le visite mediche private negli ultimi anni si sono incrementate in modo esponenziale all’interno di un SSN depotenziato: visite mediche quasi interamente in convenzione e a carico della comunità. Si va così profilando la crescente acquisizione, da parte del privato, di un ruolo sempre più forte nel Sistema pubblico. Ruolo che in un prossimo futuro potrebbe divenire determinante quanto dominante, consentendogli di dettare regole e condizioni nel campo della Salute.
Questo continuo e progressivo depauperamento del sistema sanitario pubblico ha portato alla messa in discussione dei suoi pilastri fondamentali: universalità, eguaglianza, equità e accessibilità. Riaffermare il pieno diritto dei cittadini alla tutela della salute significa impegnarsi in una battaglia per rinnovare fin dalle fondamenta la Sanità Pubblica e poterla così rilanciare sul piano nazionale.

Ospedale e territorio
Dopo decenni di chiusure di ospedali e di servizi di PS, nel periodo 2010-2020, sono stati tagliati circa 31 mila posti letto, riducendoli di un quinto acuti e quasi di un terzo quelli per lungodegenti. Risulta che nel 2020 l’Italia si è ridotta ad avere 3,5 posti letto per 1000 abitanti, di cui 0,6 posti per non acuti. Nello stesso anno la Francia ne registrava 5,7 e la Germania 7,8. La carenza di medici ospedalieri supera le 15 mila unità, di cui un terzo nei PS. Grave è la carenza di infermieri. In Italia vi sono 1,6 infermieri per ogni medico. Nei Paesi OCSE gli infermieri per medico sono 2,6. Già nell’immediato mancano 12 mila unità. Le carenze strutturali e funzionali che si hanno nel Sistema si scaricano direttamente sulla rete dell’Emergenza-Urgenza e quindi sul PS.
L’ospedale nel suo assetto organizzativo risale a decenni addietro, ma la tipologia dei ricoverati è profondamente mutata in conseguenza dell’invecchiamento della popolazione. I ricoverati sono pluripatologici, cronici e non autosufficienti. Non è più pensabile selezionare il paziente sulla base di una singola patologia per procedere alla sua collocazione; occorre avere una visione olistica della persona per posizionarla al centro delle cure e prendere in considerazione l’organismo nel suo complesso e non il singolo organo. Abbattiamo la barriera che divide l’ospedale dal territorio, favorendo una continuità sia per i ricoveri e sia per le dimissioni dei pazienti. Il territorio stesso va rifondato in quanto oggi svolge un ruolo marginale nel sistema di prevenzione e cura. Si tratta di operare un radicale cambiamento che sicuramente susciterà forti resistenze corporative da parte delle categorie professionali interessate, ma per il quale è urgente avviare quanto prima un serrato dibattito.

Assistenza sull'orlo del collasso
L’evoluzione della spesa sanitaria nel decennio 2010-2020 e il confronto con alcuni paesi europei: l’Italia ha incrementato la spesa per il SSN del 21 per cento, la Spagna del 36, la Francia del 35 e la Germania del 57. Nel 2020 la spesa sanitaria pubblica in percentuale rispetto al PIL, cresciuta a causa del Covid, è stata in Italia del 7,3: inferiore a quella della Spagna (7,8), a quella del Regno Unito (9,9), a quella della Francia (10,3), a quella della Germania (10,9). Secondo i dati OCSE 2020-2021 e della Ragioneria generale dello Stato, gli italiani sono ormai tra quelli che mediamente pagano di più per prestazioni sanitarie private e lo Stato italiano è tra quelli che finanziano di meno la Sanità pubblica. Un solo esempio Nel 2021 la spesa sanitaria complessiva in Italia è stata di 2.833 euro per ogni cittadino, di cui 692 spesi di tasca propria dai cittadini, in sostanza un terzo rispetto al finanziamento dello Stato; nello stesso anno, in Germania la spesa complessiva è stata di 5.498 euro, di cui 768 pagati direttamente dai cittadini. In percentuale, rispetto al finanziamento dello Stato, la spesa per prestazioni private di un cittadino tedesco risulta essere meno della metà di quella sborsata da un cittadino italiano. Con un’altra rilevante differenza: il finanziamento pubblico tedesco è più del doppio rispetto al nostro. La conclusione è che i cittadini italiani più anziani e bisognosi di prestazioni sanitarie e socio-assistenziali sono costretti a ricorrere a prestazioni sanitarie e assistenziali a pagamento. Ad esse ricorrono sia coloro che possono agevolmente pagarsele sia coloro che per farlo devono impoverirsi. Restano esclusi e discriminati i cittadini più poveri e gli emarginati. Le statistiche ci dicono che ormai sono già 6 milioni le persone che rinunciano a curarsi perché non possono sostenerne le spese.

La vera sfida per il diritto alla salute
La sfida della riforma sanitaria è trovare un equilibrio tra le funzioni fondamentali: la prevenzione, la cura e la riabilitazione. La prima doveva avere lo scopo precipuo di ridurre l’incidenza di disturbi, malattie e mortalità, nonché i costi del SSN, ma ha subito i condizionamenti delle logiche di mercato e consumistiche. La riabilitazione è diventata una fiorente attività economica dei privati. La debolezza dei servizi sanitari territoriali ha causato il defluire del carico sanitario nell’imbuto ospedaliero. L’organizzazione del SSN ha assunto un carattere marcatamente ospedaliero. Sul futuro del SSN si scontrano due contrapposte ipotesi: la prima lo considera prossimo al collasso a causa del definanziamento da parte di tutti i governi succedutisi; la seconda cerca di dimostrare quanto sia necessario e urgente rifondarlo per poterlo rilanciare. Rifondare e rilanciare il SSN è l’alternativa. Occorre orientarlo alla prevenzione, centrarlo sulle persone, basarlo sulle cure primarie, sulla sanità di iniziativa, come raccomandano l’OCSE e la OMS. Occorre urgentemente finanziare il FSN con risorse pari almeno al 7 per cento del PIL; impiegare con rigore le risorse del PNRR; ricorrere alle risorse del MES sanitario. Ottenendo risorse adeguate, si possono affrontare i problemi della trasformazione e del rilancio del SSN. Cominciamo dalla piena valorizzazione del capitale umano e professionale con un massiccio piano di reclutamento e assunzione delle figure professionali necessarie, superando situazioni anomale, scandalose e pericolose per i pazienti; con un adeguamento delle politiche contrattuali, normative e retributive, che riconosca la dignità degli operatori e accresca la considerazione sociale del loro ruolo e lo renda più attraente nei confronti delle nuove generazioni.
* Direttore della Struttura complessa di Medicina per intensità di cura 1 dell'Asl Città di Torino.
Note
[1]
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