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Emanuele Davide Ruffino e Giovanni Ruffo

Arcipelago sanità: crisi di idee, più che di risorse

di Emanuele Davide Ruffino e Giovanni Ruffo

Le ondate pandemiche provocate dalla Covid-19 hanno accentuato i problemi della sanità sia a livello mondiale che nei singoli sistemi, senza che siano uscite prospettive innovative, se non le classiche lamentale sulla carenza di risorse, molte delle quali trovano anche giustificazione nella realtà dei fatti, ma non costituiscono un paradigma su cui impostare un nuovo sistema. Con una popolazione che invecchia e un sistema maggiormente globalizzato (e quindi con una possibilità di trasmissione dei contagi superiore rispetto al passato) è evidente che le risorse già non sufficienti, ed una crescita delle limitazioni operative generata da burocrazia e da atteggiamenti ieratici che, nel corso dei secoli, hanno sempre accompagnato le pestilenze, costituiscono un pericoloso detonatore della stabilità del sistema. Il processo di miglioramento di salute della popolazioni, che nel dopoguerra ha registrato enormi successi, rischia così di bloccarsi su se stesso.


Nessuno ha ipotesi risolutive

La Cina, che passa dall’utilizzo dell’esercito per far applicare il lock down, al liberi tutti (cogliendo impreparata la medicina aeroportuale di mezzo mondo); Cuba, la nazione con la più alta densità di medici per mille abitanti (8 per mille, per la precisione), ma accusata da più organizzazioni umanitarie (tra cui la Human Rights Foundation) di affittare, in giro per il mondo i suoi medici, alludendo anche a condizioni di semi schiavitù lavorativa, per affermare il loro ruolo come potenza medica, nonostante il collasso che sta vivendo la sanità nell’isola caraibica… Nessuno ha una soluzione e, davanti ad un nuovo fenomeno di natura sanitaria, il disagio è evidente, a cominciare dalla rilevazione dei dati.

In effetti la distruzione delle potenzialità sanitarie non sembrano rispondere a nessuna logica: l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) stima che solo se si dispone di meno di 2,3 operatori sanitari (medici, infermieri e ostetriche) per 1.000 abitanti si raggiunge una copertura accettabile dei bisogni sanitari primari. Rapporto che nel corso degli anni è progressivamente migliorato, pur presentando ancora aree di gravissime carenze. Il problema si pone soprattutto nelle fasi pandemiche, dove le condizioni igienico sanitarie non sono più un fatto contingente di quel luogo, ma diventano un problema planetario. In quasi tutti i paesi africani si registra la presenza di meno di un operatore su 1000 abitanti.

Le statistiche non forniscono una correlazione diretta tra presenza di medici e efficacia dell’azione sanitaria: in Grecia e Austria ci sono 6 medici per mille abitanti (4 in Italia, decisamente sopra la media), mentre solo 2 in Giappone (il Paese più longevo), ma con un sistema altamente efficiente. L’esperienza nipponica, poco citata nei dibattiti, è frutto di un sistema misto tra l’assicurazione sanitaria dei dipendenti (gestita da più soggetti, tra cui anche i sindacati) e assicurazione sanitaria nazionale (generalmente riservata ai lavoratori autonomi e agli studenti, articolata a livello territoriale) e l'assicurazione sociale, cui afferiscono soprattutto i dipendenti delle società: un mix integrato di pubblico e privato, regolato da tariffe rigidamente stabilite e trasparenti.


Carenze di medici e infermieri

L’Italia spicca per il record dell’anzianità media dei medici: il 54% ha più di 55 anni e per far quadrare i conti dell’Inps, probabilmente l’età media si allungherà ancora. Va considerato che l'Italia aveva il più alto numero al mondo di medici per abitante (più di 600 medici, ogni 100 mila abitanti nel 2005): oggi i medici sono circa 370 mila, di cui un terzo impiegato negli istituti pubblici, mentre, secondo l’Ocse, le anomalie del mercato portano spesso i più giovani ad aspettare a lungo, prima di qualificarsi professionalmente.

Si passa da un eccesso all’altro: nel 1980 gli studenti iscritti alla Facoltà di Medicina erano più di 17.000 (ed infatti s’inventarono figure quale quella del “medico prelevatore”) per poi scendere a meno di 6.000 in tempi recenti (dimenticandosi che per formare un buon medico occorre almeno un decennio). Per contro l'Italia dispone di più medici che infermieri e questi sono per più del 70% impiegati in strutture pubbliche e, se si considera che in questi anni i pensionamenti sono circa 17 mila all'anno e le assunzioni 8 mila all'anno (rapporti Ocse), gli squilibri risultano evidenti.

In questo contesto le attività normative si sviluppano su temi quali la possibilità di accrescere le entrate derivanti dall’intra-moenia extramuraria (dove il pubblico non rischia e non investe, ma fa cassa), ostacolandola burocraticamente e arrivando anche a imporre fatturazione con IVA su prestazioni esenti IVA per natura in base ad interpretazioni soggettive che inevitabilmente genereranno un infinità di contenziosi, oltre che malcontenti. L’argomento era stato affrontato con la riforma della 502/92 dall’allora Ministro della Sanità Rosy Bindi e poi disperso in una miriade di rivoli, rivoli da cui sono stati normalmente esclusi gli infermieri e le altre professioni sanitarie (quelle di cui c’è maggiore carenza). Il cittadino non ha mai capito perché poteva scegliere l’anatomo-patologo, ma non il fisioterapista. Così come chi vive in sanità e svolge lavori simili, per non dire uguali, ma in base al tipo di contratto, all’anno di assunzione, all’azienda di appartenenza (fenomeno particolarmente avvertito quando si aggregano due ASL) si ritrova dinanzi a incomprensibili differenze.


Medici "ingaggiati" dall'estero

Sia per gli infermieri che per i medici, si è pensato di risolvere il problema “acquistandoli” dall’estero. L’ultima iniziativa è stata quella di assumere a tempo determinato 497 medici cubani, 50 già arrivati, tramite un accordo con la Comercializadora de Servicios Médicos Cubanos. Il regime cubano sembra però trattenersi 3.500 dei 4.700 Euro previsti). Trattasi di professionisti qualificati, già utilizzati in fase pandemica, ma non si capisce perché il sistema produca norme sull’educazione continua in medicina (ECM), sui vincoli di orario e di operatività di ogni genere e poi si proceda ad assunzioni di massa dall’estero o da neonate cooperative, con significative differenze retributive. La onnipresente discussione ideologica tardo novecentesca, tra pubblico e privato, dove non si cerca d’identificare e sviluppare l’efficiente, ma semplicemente ribadire posizioni stereotipate, perde sempre più di significato.

Il mondo sanitario, per le sue interrelazioni con il resto della società e per il fatto che interagisce con tutte le variabili umane, si presenta inevitabilmente complesso, ma non è esasperando un singolo dettaglio che si contribuisce a migliorarlo.




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