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Alleanza per Torino: l'impegno vale di più se è "sinonimo" di chiarezza

Aggiornamento: 3 mag

di Beppe Borgogno


La riedizione di Alleanza per Torino, nonostante le diffuse minimizzazioni, le interpretazioni spesso opposte persino da parte dei protagonisti e anche un  po’ di ironia, continua ad animare la discussione.

Almeno su un punto molti di quelli che sono finora intervenuti nel dibattito sembrano abbastanza d’accordo: non deve essere  la  semplice “copiatura” della intelligente e fortunata esperienza del 1993, che contribuì in modo determinante alla vittoria di Valentino Castellani a sindaco di Torino e all’apertura di un ciclo di innovazione e rilancio della città durato diversi lustri. Ma di qui in poi cominciano le domande, e le differenze da sottolineare o da auspicare.

A quanto pare le intenzioni dei promotori di oggi (che hanno coinvolto Castellani nella veste di “padre nobile”) sembrano chiare: costruire un laboratorio (nel solco di una tradizione storica) per pensare al futuro della città.

A quanto si dice, quel gruppo che comprende soprattutto giovani impegnati nel mondo intellettuale e dell’impegno sociale, sarebbe  stimolato nella sua decisione di dare una mano dallo stesso sindaco Stefano Lo Russo e da alcuni autorevoli esponenti del Partito Democratico.

Bene. Ma sarebbe importante che il Sindaco e gli altri rappresentanti di partito che sostengono il progetto, dicessero ad esempio se si tratta di un semplice incoraggiamento ad un volenteroso tentativo di mettersi a disposizione o se è qualcosa di più. Qui sta la prima domanda: che rapporto c’è tra questo “think tank” e il governo attuale della città, che ha tra i suoi compiti anche quello di preparare e promuovere il futuro, con le forze disponibili della comunità, e non solo con chi ha voglia di dare una mano. Considerando poi che il lavoro dell’amministrazione potrebbe andare anche meglio e darsi qualche ambizione maggiore, e che i destini elettorali sono incerti per definizione.

E allora c’è chi sostiene che ci troveremo in realtà di fronte ad un nuovo contenitore elettorale. Curioso, ha detto qualcuno, che proprio il partito del primo cittadino finisca per partorire, forse, un potenziale concorrente: già nel 1993, ricordano in molti, Alleanza per Torino presentò una lista che risultò essere quella più votata della maggioranza a sostegno di Castellani, a spese dell’allora PDS che pure era l’architrave politico della inedita coalizione di sinistra-centro, così venne chiamata allora, grazie alla quale si aprì una fase nuova nel dibattito a sinistra dopo Tangentopoli. Insomma, se alle spalle ci fosse una lucida ed ambiziosa strategia, in tempi in cui di strategie se ne vedono poche un po’ dappertutto, sarebbe persino un merito.

Ci sono domande, dunque, che attendono una risposta, come dimostrano molti degli interventi di questi giorni.

Almeno per ora bisogna fidarsi però di ciò che hanno detto i poco più di venti fondatori dell’associazione (ora la sua ragione sociale è questa) Alleanza per Torino.

In fondo era tempo che da qualche  parte si riaprisse un po’ di discussione sulla città e sulle sue prospettive: anzi, forse andava fatto anche prima. Il mantra ricorrente “stiamo rimediando ai disastri di chi ci ha preceduto” (vero, per carità), accanto ai grandi eventi che però non danno crescita strutturale, e immaginando di poter affidare le fortune di questa amministrazione alla realizzazione delle opere “che si vedranno”, ad un certo punto non poteva più bastare.

Dopo anni di lavoro duro ma piuttosto chiuso, con qualche deficit nel dialogo con la città, non sarebbe comunque sbagliato, se di questo si tratta, dare credito ad un impegno generoso. E non sarebbe nemmeno di per sé un demerito se qualcuno vedesse nella neo Alleanza per Torino, in prospettiva, almeno uno strumento elettorale a cui affidare il compito di spostare su Lo Russo, fra due anni, il consenso che una vasta area moderata, che in passato aveva spesso sostenuto il centrosinistra torinese, dodici mese fa ha riversato su Alberto Cirio. Certo, una strategia forse un po’ troppo meccanica e magari eccessivamente ottimista, che sconterebbe  le ironie di qualcuno sulla intercambiabilità della coppia Cirio-Lo Russo, ma pazienza. Provare a ragionare su dove va la città non è un errore, e uscire dal rischio di asfissia di una presunta autosufficienza nemmeno.

Ma è bastato annunciare  questa novità di cui sappiamo ancora poco perché iniziassero le domande ancora più serie e le proposte che obbligano a prendere degli impegni, anche solo sulla base della suggestione che crea il richiamo alla stagione iniziata nel 1993. E allora c’è chi, con ragione, usa questa occasione per ribadire che alla città servirebbero, anche oggi, visioni nuove e un vero patto per lo sviluppo tra soggetti diversi, ma con un obiettivo comune. Proprio come nel 1993, richiamando l’amministrazione attuale, ma non solo, alla necessità di guardare al futuro.

Basta questo argomento a far capire che di fronte ad una città che cerca risposte c’è bisogno di chiarezza e di responsabilità, e non c’è molto spazio per alchimie, scorciatoie e risposte incomplete. Semmai c’è davvero bisogno, intanto, di aggiornare il quadro: di un’analisi senza pregiudizi, ma anche senza presunzione, dei limiti e delle potenzialità di una metropoli che ha interrotto anni fa un percorso virtuoso di rinnovamento e che non è ancora riuscita del tutto a riprenderlo.

Evocare un passato di successo non rappresenta per forza una garanzia per il futuro, se le cose non sono estremamente chiare. Confondere il contenitore di oggi con quello di più di trent’anni fa è un rischio vero, che può portare fuori strada: nel progetto Castellani, ed anche in Alleanza per Torino, di inizio anni ’90 gli elementi di un “patto per lo sviluppo” c’erano già tutti. Anzi, forse si può dire che quelle intuizioni politiche furono lo strumento per realizzare un patto che si stava già formando. C’erano le idee, c’era la rete in grado di sostenerle, c’erano le persone in grado di realizzarle. E c’era da rilanciare, anche attraverso un appello alla società civile, la fiducia nelle istituzioni e nella loro capacità di tutelare il bene comune, insieme con una rinnovata speranza nel ruolo della politica. Caratteristiche molto particolari, proprie di una stagione ritenuta altrettanto particolare, e per molti versi straordinaria, anche da chi di quella esperienza ha una visione critica.

Le condizioni di oggi sono del tutto diverse. Anzi, la discussione di questo nuovo “think tank” forse dovrebbe iniziare proprio da qui: da come far ripartire un percorso virtuoso che provi a guardare in faccia una città che continua ad avere qualità straordinarie, ma che oggi è più divisa di un tempo, più arrabbiata, probabilmente più spaventata, e che torna, in molte sue parti e in tanti momenti, a sentire il rischio del  declino.

Una discussione che, evitando di cadere nella fin troppo consueta trappola dell’autosufficienza o dell’autolegittimazione, sappia anche prendere atto del grande bisogno che ha la città di una leadership collettiva, forte e diffusa. Che qualche anno fa c’era, e oggi molto meno.

E allora l’onere di un lavoro di questo genere sarebbe ingiusto farlo ricadere solo quei “poco più di venti” primi soci, estremamente volenterosi, della nuova Alleanza per Torino. Tocca a chi oggi ha un peso nelle tante articolazioni della città, quelle politiche come quelle economiche e sociali, sentirsi investito di questa responsabilità: costruire un patto autentico, riprendere il filo del futuro, dimostrarsi all’altezza. Cancellare quel velo (sperando che sia solo un velo) di aristocratica diffidenza reciproca, darsi fiducia, aprire un dialogo con la città che finora c’è stato poco, e non solo per colpa della politica.

Questa città, come diceva bene giovedì scorso Pietro Terna nella sua rubrica Punture di spillo “ha bisogno di qualcuno che stia dalla sua parte, con speranze, rabbie e libertà”.

Ora però tocca alla politica un primo passo determinato e autorevole, meglio se senza diaframmi o paraventi. La tattica, semmai, verrà dopo. Davvero, non basta la suggestione del passato e qualche tattica intelligente. Serve rimettere in moto la città, e per farlo ognuno deve avere il coraggio di mettersi in gioco e di coinvolgere altri a fare altrettanto.

 

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