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Giorgio Bertola

"Ai piemontesi proposte chiare. Il tempo delle mele è finito"

di Giorgio Bertola


Mancano meno di due mesi alle elezioni, e il perimetro della coalizione di centrosinistra, visto anche il mancato allargamento al M5S, appare definito. Le liste a sostegno di Gianna Pentenero saranno quindi cinque: la lista del Partito Democratico, la lista espressione dell’Alleanza Verdi Sinistra, il cartello elettorale denominato “Stati Uniti d’Europa” e due formazioni di carattere civico. Di queste ultime, la prima è quella che fa capo al consigliere uscente Mario Giaccone, mentre la nuova arrivata è la lista Piemonte Ambientalista e Solidale, della quale sarò capolista.

Meno di due mesi sono un tempo limitato per unire capacità di penetrazione del pensiero e velocità di diffusione di qualunque progetto politico. Personalmente ne sono consapevole, quanto più sono altrettanto consapevole della necessità di uscire fuori dalle secche della propaganda e degli slogan "prêt-à-porter", o "uso e getta" versione acchiappa voti. Si corre il rischio di presentarsi con la promessa iconica che fu di Churchill, "sangue, sudore e lacrime", obietteranno in molti. Vero. Ma le affabulazioni parafamiliari e paraconfidenziali distese sul fondo di battute e aneddoti tutte giocate sul filo della "leggerezza" da parte di chi è al potere, hanno prodotto finora soltanto pari e discutibile leggerezza nell'affrontare problemi pesanti, angoscianti, duri, dolorosi: dalla sanità al lavoro, all'occupazione giovanile, alle politiche a difesa delle fragilità, a un welfare visto come "avversario" di chi reclama l'opportunità di arricchirsi in tempi rapidi a spese dei più deboli.

Il fenomeno dell'astensionismo dimostra dunque l'inutilità di quei modelli della battuta ad effetto, del colpo sempre in canna, ma spesso a salve per l'interesse della comunità, e ripropone invece la sfiducia che ne deriva nel rapporto con gli elettori, soprattutto verso quanti vorrebbero (re) incontrare l'alta politica, il senso della prospettiva che sappia unire la parola "territorio", diventata buona per ogni stagione al punto di essere oramai inflazionata e priva di appeal concreto, alle esigenze del Paese e in una visione allargata a quella dell'Europa e del mondo.

Pensare in grande non è reato e facilita, inoltre, a mantenere una equilibrata distanza dal provincialismo che fa rima con clientelismo, affarismo e consociativismo di stampo bulimico. Un effetto "patologico" da codice penale che, come conferma anche la cronaca di questi giorni, si sconta eticamente e moralmente nel peggiore dei modi in un dramma collettivo e individuale. Dunque, il tempo ridotto a disposizione impone di rivolgersi ai piemontesi con proposte chiare su come superare le criticità presenti nella nostra regione. Del resto, le cose che non funzionano o funzionano a stento sono sotto gli occhi di tutti. E lo sono, aspetto perverso e pericoloso, a rischio assuefazione, accettazione supina, perdita del senso critico e della volontà di combattere le diseguaglianze e le iniquità che esse producono nella società e alle quali corrispondono i comportamenti di chi già forte deve sempre impiegare meno forza ed energia per piegare il più debole. Il rovescio di una società di diritto e dei diritti universali, in primis la sanità pubblica.

In questo, la crisi della risposta pubblica al diritto alla salute è in Piemonte il paradigma di come possa avere successo la manipolazione del pensiero funzionale alla sedazione della protesta, nonostante le liste d'attesa per visite specialistiche e interventi chirurgici, sullo sfondo di una politica di edilizia sanitaria a singhiozzo. Parlare di fallimento, però, può diventare anche un alibi per chi ha governato il Piemonte, se non si affronta lo scontro politico con un progetto chiaro su che cosà dovrà contenere il Piano socio-sanitario che la nostra regione attende da oltre dieci anni. Quel documento che la Giunta guidata da Cirio avrebbe avuto il dovere di predisporre e di sottoporre al Consiglio, dopo che la legislatura precedente aveva lavorato con i vincoli di un piano di rientro - il famoso e quasi mitico "Tavolo Massicci" - che di fatto limitava fortemente tale prerogativa.

Altro tema che desta preoccupazione è quello del lavoro, col progressivo disimpegno dall’Italia di Stellantis e il conseguente impatto su tutto l’indotto dell’automotive piemontese. Domani i sindacati incontreranno l'amministratore delegato della multinazionale Carlos Tavares con la speranza che lo stabilimento di Mirafiori possa avere ancora un presente, anziché essere consegnato in maniera definitiva all'archeologia industriale.

I problemi citati, che non sono certo gli unici, richiedono risposte immediate. Nondimeno, tuttavia, è necessario che la politica piemontese torni a pianificare. E un’idea di presente che sviluppi il futuro si ancora idealmente alla transizione ecologica che deve rappresentare un’opportunità per la nostra regione, non solo nel settore automotive.

Le notizie degli ultimi giorni richiamano, infine, tutta la classe politica ad una maggiore attenzione sul tema della legalità. L’inchiesta che coinvolge, tra gli altri, Roberto Fantini, componente dell’ORECOL, organismo di controllo collaborativo della Regione Piemonte introdotto da una legge voluta da Cirio dopo lo scandalo Rosso, dimostra che per contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle opere pubbliche non è sufficiente istituire nuovi sistemi di controllo.                              

 

 

 

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