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Abitudini e galateo: a zonzo in epoca di Coronavirus

di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi |

Garantire a tutti i cittadini del mondo la possibilità di ammirare le opere d’arte e le bellezze naturali è un principio etico, cui non si può sottrarre dal darne attuazione. Il coronavirus ha però seriamente compromesso questo diritto obbligando a restrizioni di ogni tipo: alcune dettate da condizioni oggettive, altre da comportamenti irresponsabili. Ma come fa un argonauta a sottoporsi a sacrifici di vario genere (forse anche affrontare il rischio di contrarre il coronavirus) e poi lasciare i musei e i parchi sporchi di lerciumi? La salute, come l’ambiente, non si salvaguardano con gli slogan e le frasi ad effetto, ma con un accorto comportamento quotidiano, da parte di tutta la collettività. Tornano perfino di attualità termini desueti come galateo e bon ton, non nella loro degenerazione leziosa e di etichetta, ma nel loro significato originario di codice in grado di stabilire ex ante comportamenti sociali ed individuali per rendere più sopportabile la convivenza fra gli esseri umani, senza norme scritte, ma ispirandosi spesso solo alla buona educazione. Sull’arte (non sempre conosciuta) della convivenza

Il dover venire a contatto con altre persone e con esse spartire tempo e locali ha sempre obbligato l’uomo a ricercare e codificare soluzioni: in generale trattasi di regole non scritte, ma la cui validità è talmente condivisa che un eventuale non rispetto espone al pubblico ludibrio e all’espulsione dal gruppo. Infiniti potrebbero essere gli esempi: l’aspettare che tutti siano a tavola prima di iniziare a mangiare e stabilire chi doveva essere servito prima, permise di superare quell’assalto incontrollato tipico delle mense medioevali (e di alcuni buffet dei giorni nostri); il servire alla sinistra del commensale e portar via il piatto dalla destra serve per limitare di versare i cibi sul commensale; i romani si lavavano le mani prima di accingersi a tavola e spesso anche i piedi, abituati com’erano a mangiare semisdraiati (nella casa del moralista a Pompei si legge inoltre: “Si devono evitare le liti e procrastinarsi in odiosi battibecchi, altrimenti è meglio tornarsene a casa!”). La storia millenaria dell’uomo può offrire un’infinità di esempi in cui si è cercato di rendere più razionale e semplicemente gradevoli le modalità di convivenza fra gli esseri umani, norme che dovrebbero essere ancor più rispettate in presenza di rischi di contagi: non mangiare con le mani, non sputacchiare a tavola, mentre oggetto di discussione è il ruttino a tavola che per ragioni igieniche in tempo di Coronavirus è meglio evitare onde non investire gli altri commensali del proprio alito!. Viene così da domandarsi se le normali pratiche di regole volte a salvaguardare la convivenza tra simili, al fine di vivere convenientemente in società, siano migliorate o regredite in questa fase pandemica. Anziché le regole informali (ma perentorie) del galateo si sono avvicendate un’infinità di regole scritte: i singoli Stati, gli Organismi internazionali, le Regioni, le associazioni di categoria etc. Alla condivisione di uno stile di vita si è dunque sviluppata una corsa forsennata a codificare nuove regole che ovviamente la stragrande maggioranza della popolazione non conosce o non ricorda, innescando nuove opportunità di liti e battibecchi, in coda ai supermercati, nei ristoranti, sulle spiagge: si dovrebbe riprendere l’ammonimento degli antichi romani che non è di bon ton alzare la voce, specie se in presenza di persone estranee all’accaduto, anche perché l’urlare aumenta la salivazione e la sua possibilità di espulsione (cosa non opportuna, soprattutto se si rifiuta, come qualcuno predica, di non usare la mascherina). Ma se non lo dice il comma di qualche articolo di legge e non si fanno intervenire i Carabinieri, il bon ton rimane lettera morta. Nuovi dilemmi e ancor più nuove paure

L’ingegnere, scrittore e umorista Luciano De Crescenzo, noto anche come filosofo, scoprì l’ascensorite: morbo normalmente di breve durata che colpiva le persone che si trovavano, loro malgrado, nello stesso ascensore e non riuscivano a comunicare se non con estremo imbarazzo. Il Coronavirus ha accresciuto i luoghi di propagazione dell’ascensorite: a fronte di una minoranza che risulta del tutto immune (popolo della movida e tifosi di calcio) il resto della popolazione ha paura di stare in luoghi chiusi in presenza di suoi simili di cui non conosce il livello di igiene. Non essendoci più i manuali di Galateo, non sa neanche come comportarsi; per esempio, raccogliere il fazzoletto caduto ad una signora è ancora un atto di cortesia o un possibile contagio? Ancora: offrire caramelle o cioccolatini, ancorché racchiusi in apposito involucro, è cortesia o si possono mangiare tranquillamente in faccia di chi ti sta vicino? Dilemmi dell’epoca moderna che testimoniano come non si riesce più a gestire anche gli aspetti più banali del nostro vivere quotidiano (e peggior cosa ancora, è che per l’incapacità di risolvere questi problemi diventa difficile dare la colpa alla religione, alla politica, ai partiti o alle lobby di qualsivoglia natura). Sicuramente l’infinità di norme emanate per contrastare il Coronavirus stanno dando lo spunto per ulteriori risse e contenziosi, che faranno la gioia di avvocati e magistrati, ma il tutto senza migliorare il livello di convivenza civile. Invece quando nacque il Galateo (il nome deriva da Galeazzo Florimonte Galatheus Florimonte in latino, vescovo di Sessa Aurunca (oggi in provincia di Caserta) che ispirò monsignor Giovanni della Casa alla stesura del “Viver civile, il Galateo, overo de’ costumi”, pubblicato nel 1558. L’obiettivo non era quello di raccogliere vuote formalità per una casta elitaria, ma rilevare e gestire nel migliore dei modi, rapporti individuali e rapporti sociali che, senza una disciplina, rischierebbero inevitabilmente di degenerare. Alle norme di buona educazione, Erasmo da Rotterdam, laureatosi a Torino nel 1516 (per la precisione il 4 settembre) ne diede un rango più elevato nel De civilitate morum puerilium e nell’Antibarbarorum Liber. Oggi si parla di vision sociale e di rapporti complessi, ma il problema rimane quello di auto-organizzare la convivenza con i nostri simili che nessuna legge e nessun precetto può imporre. Propositi per l’organizzazione delle prossime vacanze

Con tutti questi problemi come potremo organizzare le nostre prossime vacanze? Parliamo, in primis, di quelle invernali, naturalmente… Forse ci dovremmo chiedere se è etico pensare alle vacanze o per paura di tutto dedicarsi alla pittura e al giardinaggio (sperando che i prodotti acquistati siano virus-free), ma poi arrivano le statistiche sui danni provocati all’economia se non si frequentano le località turistiche e le città d’arte e così ci si sente quasi in dovere di prenotare cena in qualche bel ristorante con vista panoramica. Se a quest’obbligo (cui nessuno vuole sottrarsi!) si associasse anche un po’ di rispetto per il bello, potrebbe essere un’idea originale. Il bello dev’essere a disposizione di tutti, ma non contemporaneamente: casi limitanti si erano già registrati in passato. Venezia invasa da troppi turisti, alcune cappelle (Sistina, Scrovegni…) possono ospitare un numero limitato di persone non solo per la limitata capienza, ma per l’umidità che un assembramento di persone produce. Ora la problematica si espande a tutti i luoghi considerati belli (gli assalti ai cancelli di Pompei di quest’estate ne sono un esempio). Non si tratta solo di mantenere le distanze di sicurezza o di indossare le mascherine, ma di prendere coscienza che per ammirare il bello dobbiamo permettere anche agli altri di farlo: dobbiamo imparare ad ammirare un’opera d’arte non come bene da consumare, ma come momento esaltante di un processo culturale, così come dobbiamo prendere parte della natura e non estirparla per un interesse effimero. Le vacanze, oggi, hanno visto riaffermarsi le passeggiate in montagna dove, considerati gli spazi, non ci sono problemi di contagio o di ascensorite, semmai qualche imbarazzo se ci si incrocia su qualche sentiero (il bon ton consiglia di salutarsi sempre, tranne se si viaggia a gruppetti e chi si incrocia sta amabilmente conversando). Ma gli umani restano comunque strani: alcuni per non sentirsi soli frequentano spiagge pollaio (dove si può criticare tutti: dai provvedimenti governativi, all’abbigliamento di chi neanche si conosce), altri cercano la solitudine delle vallate alpine o il fascino delle colline (alla ricerca complicatissima dell’introspezione latina nosce te ipsum (conosci te stesso). L’Italia dispone in abbondanza tutte le soluzioni: è chi li guarda (o più esattamente, li vive) che attribuisce loro un valore aggiunto. In vacanza con il Coronavirus, infatti, non vuol dire portarsi dietro il virus da sparpagliare qua e là, dove capita, ma riscoprire e rispettare le bellezze che ci circondano con meno superficialità e un po’ più di cultura.

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