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9 maggio festa dell’Europa, ma prenda posto soltanto chi ci crede davvero

di Mercedes Bresso|

Il 9 maggio, giornata dell’Europa, è di solito l’occasione per fare il punto sullo stato di salute dell’Unione. Quest’anno i due avvenimenti collegati a questa data sono di peso. In primis, la riunione del Consiglio Europeo tenutasi a Lisbona in occasione della Presidenza portoghese e destinata a rilanciare l’Europa sociale, rendendo operativo il pilastro sociale adottato nel 2018 nella svedese Göteborg. Fornendo finalmente, anche a seguito della crisi dovuta alla pandemia, un vero zoccolo comune di diritti sociali a tutti i cittadini dei 27 paesi. La seconda iniziativa, ancora più importante, è il lancio ufficiale della Conferenza sul futuro dell’Europa, concepita all’inizio della presente legislatura per affrontare i molti problemi che l’incompiuto processo federale europeo continua a creare: anzitutto la lentezza decisionale, causata dal voto all’unanimità su molte materie, in seno al Consiglio, una sorta di Senato europeo, composto dai ministri degli Stati per le diverse materie da trattare o dai loro rappresentanti diplomatici. Un “sinedrio” che permette anche a piccoli paesi di bloccare una norma o una decisione, allo scopo di ottenere qualcosa di più. I grandi temi di politica federale

La Conferenza dovrebbe anche affrontare il tema di una più chiara ripartizione delle competenze fra l’Unione e i paesi membri, attribuendo al livello federale le sovranità che non possono più essere gestite a livello degli Stati: sicurezza, difesa, politica estera, grandi linee di politica economica, commercio internazionale, moneta, fiscalità federale, possibilità di indebitarsi emettendo titoli europei. Detto così, pilastro sociale e futuro assetto dell’Europa, sembrerebbe un programma entusiasmante che, unito al già deciso, ma non ancora ratificato da tutti i 27, Next Generation UE (o Recovery Plan), potrebbe portare l’Europa fuori dalla pandemia più forte e capace di contare su una scena mondiale sempre più complessa. Purtroppo i governi hanno già deciso che la Conferenza dovrà coinvolgere i cittadini europei e tutti coloro che sull’Europa e per l’Europa, studiano e lavorano, ma che non potrà proporre modifiche dei trattati, il che ne limita fortemente il peso e il significato.

Tempi celeri per la riforma della UE

Analogamente anche l’avvio di una concreta riforma sociale europea sembra avviarsi su binari morti. Dopo le importanti misure prese durante la pandemia, tra le quali SURE, uno strumento di supporto alla disoccupazione accresciuta in Europa a causa della Covid-19, che ha messo 100 miliardi a disposizione degli Stati Membri, già a Lisbona molti paesi hanno sostenuto che si tratta di un programma transitorio, legato all’eccezionalità della crisi. E che le competenza in materia di disoccupazione e politiche sociali restano nazionali. Se è quindi vero che nei momenti di crisi l’Unione Europea dimostra di avere capacità di azione, sia pure con ritmi troppo lenti, è anche purtroppo vero che senza una riforma dei trattati nessun cambiamento sostanziale che crei un’Europa veramente forte e sovrana, potrà avvenire. Questo significa che, a 27, non si riuscirà mai a fare una vera, sostanziale, riforma in senso federale e che solo potrebbe riuscirci un gruppo di Stati che decida di andare avanti comunque, lasciando ovviamente la porta aperta agli altri, quando si sentiranno pronti. Ma questo gruppo di Stati c’è? E che ruolo pensa di giocare l’Italia, guidata oggi dall’uomo che è riuscito a salvare l’Euro, proprio perché guidava la BCE, l’unica istituzione veramente federale dell’Unione, dove le decisioni si prendono, vivaddio a maggioranza?

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