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9, 41, 2, 103, 3… ecco i numeri della politica


di Emanuele Davide Ruffino e Germana Zollesi

Per esplicitare i concetti e renderli più facilmente comprensibili al pubblico, la politica ricorre spesso a semplificazioni e ad immagini di sintesi che sovente si concretizzano in un numero: succede così che oggi il dibattito si arrovella sul numero 9€, 41anni, quota103, quota96, 2giorni, inflazione al 2, rapporto deficit/PIL al 3%, debito/PIL 60%. La battuta che la politica dà i numeri è tanto facile, quanto scontata, tuttavia non si capisce perché ci si accanisca sui numeri e non sui ragionamenti che li sottintendono.


Fascino e irrazionalità

Il fascino dei numeri, il semplificare un concetto con un’espressione quantitativa, aiuta ad esprimere e sintetizzare una posizione, ma una cosa è dire “salario minimo” a 9€/ora per tutelare fasce di lavoratori al limite dello sfruttamento, un'altra è verificare la validità del provvedimento e gli effetti che questo produce. Nella fattispecie si rischia, da un lato, una diminuzione di alcuni contratti superiori al limite, abbassandoli a 9€, dall’altro, di far fallire le ditte che hanno vinto gli appalti, anche con enti pubblici, prevedendo importi inferiori inconciliabili con l'aumento, salvo attivare clausole di adeguamento prezzi che presentano sempre ampi margini di discrezionalità. In realtà, sarebbe opportuno obbligare le grandi imprese, pubbliche e private, che oggi si vantano di applicare contratti che prevedono remunerazioni orarie superiori ai 9€, a far rispettare dai loro fornitori e a quelli coinvolti nelle rispettive filiere, livelli più accettabili di remunerazione. Se si esce dal numero magico, il problema è individuare e realizzare condizioni che garantiscano il lavoratore senza irrigidire il mercato che di fatto in tali condizioni favorisce disoccupazione e lavoro nero, considerato che parte delle imprese operanti in Italia risponde a imprenditori non sempre facili da individuare, con sedi all’estero (o con persone non stabilmente residenti in Italia) o con amministratori fittizi (le cosiddette teste di legno).

Altro numero magico è 41, probabile causa del blocco della riforma delle pensioni. Sintetizzando il concetto (sentitissimo in Francia, dove però il numero magico è più concretamente incentrato sull’età pensionabile, 64 anni), si rileva la volontà di poter andare in pensione prima. Desiderio non opinabile, anche se crea impressionanti diseguaglianze. In primis con coloro che sono andati in pensione con 20 anni sei mesi e un giorno (o anche meno) e con chi ha usufruito di quota 100. Quest'ultima è una situazione peraltro insanabile. A meno di non ridurre gli adeguamenti inflattivi avvicinandoli - per le pensioni superiori ad un certo importo - agli importi effettivamente versati in modo da gravare meno sulle case pubbliche. Infine, nel gruppo delle diseguaglianze rientra anche chi ha versato poco per 41 anni rispetto a chi ha versato di più, ma in forme discontinue: così, alla stessa età, chi ha versato meno può andare in pensione con importi superiori a quanto versato, mentre altri devono continuare a lavorare per lui...

Il 2 è il numero magico previsto per un’inflazione ideale, il cui controllo è indispensabile se non si vuole dare spazio alla più iniqua delle tasse. Ma qui a dare i numeri sono quelli della Banca centrale europea che agiscono a ripetizione sull'aumento dei tassi d'interesse con il risultato di far pagare il prezzo maggiore a mutuatari e imprese che non riescono più ad accedere ai prestiti se non a prezzi insostenibili.


E i tecnici stanno a guardare

Se è comprensibile che la politica si esprima con immagini sintetiche e forti per attrarre l’attenzione, ci si aspetterebbe almeno che siano i “tecnici” e il mondo scientifico a fornire analisi e algoritmi maggiormente esplicativi della realtà e non contestabili se non fosse che anche le stesse categorie sono reclutate obtorto collo nel vortice delle interpretazioni per poi essere arruolate e schiarate a favore dell'una o dell'altra parte.

Le scienze che si occupano del comportamento umano (sociologia, psicologia, economia) sono chiamate al difficile compito di elaborare teorie e modelli in grado d’interpretare la società e i suoi possibili sviluppi anche sporcandosi le mani, assumendo posizioni e incarichi, ma mantenendo sempre l'indispensabile rigore scientifico. Dal canto loro, le normative devono recepire le indicazioni provenienti dal mondo scientifico e renderle confacenti al futuro che si intende disegnare per la società. All'opposto, si ha l’impressione che spesso i tecnici, a cominciare dai sondaggisti, tendano più ad accontentare il potere che non a ricercare una corretta e completa rappresentazione della società.

Socrate usava dire “io so di non sapere” e da questa prima conoscenza dava avvio alla sua speculazione filosofica: forse anche gli attori che oggi sono chiamati a interpretare il presente dovrebbero avere un po’ meno certezze e un po’ più di voglia di interpretare i fenomeni accettando il gioco dei ruoli che la democrazia sottintende.


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